la collezione di orologi di Luigi in cerca di casa – Corriere dell’Irpinia

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Giuseppe Iuliano

Nusco, paese/museo o paese di musei? Essere uno dei borghi più belli d’Italia, museo a cielo aperto, ma poter vantare anche opere e risorse per approntarne altri. A cominciare da quello “d’arte sacra”, candidato ad essere uno dei cinque poli del settore nella nostra regione; per continuare con l’altro dei “santini”, allestimento del compianto Salvatore Passaro e pronto a ricevere le preziose “immaginette” del dott. Massimo Amodio, già presidente del Tribunale di Avellino; quindi il museo di auto d’epoca di Antonio Della Vecchia, scomparso anni addietro, già dipendente del CERN di Ginevra, collezionista di modelli di grandi marche e di qualche rarità. Da ultimo si innerva una quarta storia fascinosa, pur essa originatasi nella Terra dei Cantoni.

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Sembra un racconto uscito dal libro Cuore ed intitolarlo “Dagli Appennini Picentini alle Alpi svizzere”. Un racconto tenero, appassionato, senza frontiere. Gli ingredienti ci sono tutti: orgoglio, nostalgia, generosità, amore smisurato verso la propria terra.

È il racconto/storia di Luigi Giordano, un 82enne originario di Nusco, da 63 anni emigrato in Svizzera. A presentarmelo, qualche tempo fa, era stato Gaetano Natale, che ci indovina sempre con i nuscani. In precedenza aveva fatto da tramite con la famiglia Giova/Della Vecchia per la realizzazione del museo di auto d’epoca.

Una storia di sradicamento e di numeri quella della sua famiglia che ha visto più della sua metà – il padre, due fratelli e due sorelle – calpestare il suolo elvetico. Ora è rimasto solo lui che, dopo aver lavorato per diciott’anni anni nel settore edilizio e più di una ventina in quello industriale della zincografia e delle incisioni in metallo, ha deciso di trattenersi per non tradire le attese della sua compagna. Luigi ha un debole per le storie di cuore e non se ne vergogna. Così per Nusco, destinataria di ricordi e oggi delle sue sostanze.

Luigi è un appassionato collezionista di orologi meccanici. Stando in Svizzera, chiunque potrà osservare che avere a che fare con gli orologi è un fatto naturale. Ma questa è solo una mezza verità. L’altra è da ricercare nella sua adolescenza, allorquando, per soddisfare distrazione e curiosità, si inerpicava per la scaletta tortuosa che da piazza De Santis portava alla torre dell’orologio della Cattedrale, laddove Giuseppe Salvi (Pataniello) bilanciava pesi e zavorre. E dire che a quel marchingegno vi avevano prestato curiosità giovanile ed assistenza mio padre e Mariotti, “a mestiere” da Nicola Iuliano che ne aveva la manutenzione.

Più tardi, da una delle rimpatriate, Luigi aveva voluto portarsi come ricordo in Svizzera, un vecchio orologio di famiglia. Mezzo smontato, con chiazze prive di cromatura, in pratica destinato alla rottamazione – purtuttavia momento di litigio per essere un ricordo di famiglia – era diventato oggetto di desiderio, a cui ognuno aveva offerto resistenza. Ma l’aveva vinta lui, con ferma ostinazione.

Quel trofeo ribolliva come il suo sangue. Chiedeva di vivere. Con questa convinzione aveva avviato contatti e consulti con i vari artigiani svizzeri. Sembrava una maledizione: difficile trovare i pezzi per ripararlo. Solo qualcuno gli aveva dato una qualche speranza, ma gli sembrava più una risposta di comodo – una scappatoia per non compromettere la proverbiale efficienza svizzera – così anche il preventivo e la contropartita di cinquecento franchi. Cose da far perdere l’entusiasmo e il fiato. Ma Luigi vi aveva perso anche il sonno.

Ecco allora nella difficoltà venir fuori il proverbiale ingegno irpino: l’applicazione e la precisione, acquisite in fabbrica, unitamente allo spirito di adattamento, riuscirono a convincerlo di cimentarsi nella costruzione e nel restauro dei pezzi, e di ritrovarsi alla fine un abile artigiano.

La sua casa a Losanna è oggi un museo privato; non c’è locale o angolo in cui non siano custoditi o catalogati orologi delle più diverse fatture: a pendolo, a muro, sveglie, da polso e da taschino. Una vera galleria che raccoglie la storia dell’orologeria svizzera e francese, con pezzi d’antiquariato risalenti all’epoca di Napoleone III. Qualcuno esclusivo e firmato. Un curioso anomalo concerto di ticchettii. Naturalmente tutte le suonerie sono rigorosamente staccate, altrimenti confessa Luigi “trema la casa e mi cacciano via”.

Ecco l’assortito inventario, frutto di ricerche, trattative, scambi, in negozi, mercatini e laboratori specializzati: 180 orologi, molte sveglie, una decina di “cipolle”. La passione non ha conosciuto limiti o sacrifici, col rischio scontato di farsi rifilare qualche patacca, com’è capitato con alcuni pezzi italiani, da cui poi si è mantenuto sospettosamente alla larga. Per due orologi, tra i pezzi forti della collezione, ha sborsato cinquemila franchi.

Ora tutto quel patrimonio è in attesa di destinazione. Un magistrato suo condomino, in servizio nel distretto di Neuchâtel, gli ha suggerito di coinvolgere il museo di Chaux de Fonds, centro conosciuto per le industrie orologiere Eberhard & C e Corum. Ma pensieri e desideri vanno unicamente nella direzione della terra natia. L’Amministrazione comunale di Nusco – all’epoca fu coinvolta quella retta da Ciriaco De Mita -– si era dichiarata entusiasta e disponibile ad acquisire l’invidiabile donazione al suo patrimonio. Nell’immediatezza fu allertato un camion per il trasporto, solo che c’erano da superare le norme e le restrizioni di legge dei due Paesi – magari con una spesa contenuta – trattandosi di non trascurabili beni artistici e di valore.

Tutto sembra confermarsi nella visione profetica del romanzo Le tartarughe tornano sempre (Feltrinelli, 2015) del talentuoso scrittore di origine nuscana Enzo Gianmaria Napolillo, come per dire cielo e monti, terra e case esercitano un’attrazione fatale oltre il tempo e le distanze. Un amore di terra che solo l’orologio dell’anima può misurare con le sue leggere ed invisibili scansioni.

Peccato! Tanti, troppi sogni, alcuni mai nati. L’unica vera realtà resta oggi il Museo diocesano d’arte sacra.

 



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