La fertilità dipende dalla testa (degli spermatozoi): le nuove tecniche

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Se continua di questo passo altro che crescita zero. Ai vecchi nemici della fertilità maschile, come certe malattie a trasmissione sessuale, se ne sono aggiunti di più recenti e subdoli. Da quelli atmosferici, come l’anidride carbonica e le alte temperature, a quelli alimentari, come le carenze di certe sostanze. Per fortuna la scienza e le tecnologie ci danno una mano. Grazie alle nuove scoperte, oggi è infatti possibile individuare gli spermatozoi con la “testa giusta” (altra novità: non è più solo la loro agilità a fare la differenza) e aiutarli a raggiungere il bersaglio.

Infine, anche gli integratori possono fare la differenza sulla fertilità maschile. Ce ne parla un esperto di lungo corso nel campo della fertilità, il professor Ermanno Greco, andrologo e ginecologo a Roma.

Ma la fertilità maschile è messa così male? Perché?

Sì: rappresenta ormai il 50% degli insuccessi della coppia nella ricerca di un bambino, ed è in costante aumento. Innanzitutto per l’inquinamento. Sono stati fatti parecchi studi sulle sostanze presenti nell’aria in grado di interferire con la funzione endocrina maschile, cioè sulla produzione di spermatozoi. Anche l’aumento medio della temperatura ambientale porta ad alterazione della conformazione della testa degli spermatozoi, il maggior punto debole della fertilità maschile. Dunque è vero che l’eccesso di calore locale dato da indumenti stretti o il fatto di lavorare seduti a lungo (anche in auto) non aiuta la spermatogenesi, ma la parte del leone oggi la fa l’ambiente. Infine l’assenza di prevenzione precoce, quella che si faceva con la prima visita militare a 18 anni, porta a non intercettare varicocele (causato da una dilatazione delle vene nello scroto) e prostatiti che, per quanto asintomatiche, si cronicizzano e fanno danno. L’infertilità, dunque, arriva da lontano: dal compimento della maggiore età e, in alcuni casi, anche prima.

Problema smog: che cosa è più dannoso per l’uomo?

La concentrazione di anidride carbonica. Interferisce in modo specifico sulla funzione endocrina maschile. Quando i radicali liberi da Co2 e le polveri sottili superano certi livelli e le centraline di monitoraggio cittadine vanno sul rosso si crea un’interferenza ormonale. Ma se il particolato ha come organo bersaglio l’apparato respiratorio, nel maschio la Co2 ha come target quello riproduttivo.

Le ultime scoperte cosa dicono sull’infertilità maschile?

Abbiamo accertato che è la morfologia della testa dello spermatozoo che fa la differenza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, se quest’ultima è al di sotto del 4%, lo spermatozoo non è in grado di penetrare l’ovocita (la normalità per fecondare si ha dal 14% in poi). E questo nonostante che il seme, a parte la sua estremità, sia perfettamente a posto.

Ci sono nuovi esami da fare?

Esiste un nuovo sistema computerizzato, il Casa, che consente di analizzare la cosiddetta morfometria dello spermatozoo. Fotografa e analizza, con una precisione ineguagliabile, gli spermatozoi a livello di motilità ma, soprattutto, verifica la conformazione della testa, come già detto decisiva. Si fa anche in Ssn.

Quanto conta l’età nel maschio?

Non incide sulla capacità procreativa o sull’efficacia dei trattamenti anti-infertilità. Ci sono studi, che però vanno approfonditi, che ipotizzano che l’età del maschio possa influire sulla comparsa di certe malattie nei figli, come l’autismo. Questo perché gli spermatozoi invecchiano incidendo sulla qualità del loro Dna. In realtà l’età conta molto di più nella partner. Il tema è che anche a 25 anni una donna ha una quota di ovociti che non è sana geneticamente, e questo è il motivo principale per cui la specie umana si riproduce poco. Una coppia normale che ha un rapporto nel periodo giusto, quello dell’ovulazione, anche se la partner ha un’età inferiore ai trent’anni non ha più del 20-25% di probabilità di avere un bambino. L’OMS definisce una coppia infertile quando, dopo un anno di rapporti non protetti, non ha figli. A mano a mano che l’età femminile sale abbiamo da una parte un decremento del numero delle uova, dall’altra un aumento delle alterazioni genetiche, e quindi la natura cerca di non far fecondare le uova con difetti, anche se usiamo la procreazione assistita, ed è questa la causa del 70% dei fallimenti di queste tecniche. Ecco perché occorre sempre visitare la coppia.

Ci sono stati dei progressi anche nelle cure?

Ci sono farmaci che aumentano la concentrazione dell’ormone Fsh, ma oggi viene prescritto anche l’ormone di sintesi ricombinante, identico a quello umano. Purtroppo la spermatogenesi è poco sensibile alle terapie tradizionali a base di ormoni, quindi spesso bisogna ricorrere alla fecondazione artificiale nella sua versione più moderna, che è migliorata molto a livello di selezione degli spermatozoi migliori da utilizzare, grazie agli ultimi microscopi elettronici che ingrandiscono un singolo elemento più di 6000 volte. Dopo la selezione il medico inietta lo spermatozoo direttamente dentro l’uovo con la certezza di usare “il migliore”. Infine ci sono degli integratori molto efficaci.

L’INTEGRATORE CHE SALVA LA FERTILITÀ

Gli integratori hanno un ruolo fondamentale nel migliorare la motilità, la morfologia e il numero degli spermatozoi. «Ma le sostanze che contengono devono essere pure e biodisponibili, cioè in grado di arrivare nel punto giusto integre: dunque è meglio che questi integratori siano prescritti dallo specialista», spiega il nostro esperto. Cosa devono contenere? Zinco, selenio, carnitina e coenzima Q10, un antiossidante che difende dallo smog e dà forza ai mitocondri, la centrale energetica del seme. «Un ciclo deve durare minimo 60-70 giorni, come quello della spermatogenesi, con dosi fino a 3 g al giorno», spiega il professor Greco.

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Articolo pubblicato sul n. 24 di Starbene in edicola a novembre 2020




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