La parabola del Movimento 5Stelle

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Per il sociologo Domenico De Masi i Cinque Stelle sono i futuri rappresentanti dei poveri e degli sfruttati.

Di sicuro è un movimento che, nelle mani di Conte, sta divenendo un partito che si muove nell’ambito della sinistra, occupando quegli spazi che erano del PD, sempre più centrista e moderato. Non si comprende, pertanto, la logica per la quale Letta lo ha voluto tener fuori dalla coalizione perché non aveva votato la fiducia a Draghi e nello stesso tempo ha accolto nella coalizione la sinistra di Fratoianni che la fiducia a Draghi non l’aveva mai votata.

Spesso i politici hanno comportamenti inspiegabili secondo la razionalità del buon padre di famiglia e, in quest’ultimo caso, i comportamenti di Letta, di Calenda e dello stesso Conte – che ha fatto da cavallo di Troia per la destra che ha defenestrato Draghi- non sono comprensibili alla luce dei rischi futuri che si dovevano prevedere.

Ma veniamo al M5S e alla sua parabola politica. Il Movimento fu fondato da Grillo e Casaleggio nel 2009 con l’obbiettivo di stimolare metodi di democrazia diretta chiaramente in funzione antipartitica (svuoteremo il Parlamento come una scatola di tonno!). Le stelle richiamavano alcuni temi fondamentali come l’ambiente, la mobilità sostenuta, l’acqua, l’ambiente, i trasporti, la connettività e lo sviluppo i beni comuni, l’ecologia integrale, la giustizia sociale e l’innovazione tecnologica. Tutti obbiettivi condivisibili per la cui realizzazione- graduale nel tempo- avrebbe dovuto avere un maggioranza schiacciante in Parlamento. Passò di successo in successo e i voti crebbero fino al boom delle elezioni politiche del 2018, nelle quali conquistò il 32% dei voti   facendo eleggere 227 deputati e 112 senatori.

Fino ad allora non aveva voluto allearsi con nessun altro partito ed aveva negato (nel 2013) a Bersani i pochi senatori (appoggio esterno) per poter formare un Governo di centro sinistra. Nel 2018, invece, accettò di andare al Governo apparentandosi (dopo il veto di Renzi!) con la Lega, terzo partito uscito dalle urne. Comparve il nome di Conte, sconosciuto alla politica, e Di Maio e Salvini condussero la danza ognuno facendo parte del suo programma, fino a quando quest’ultimo- credendo di uscirne vincitore- uscì dal Governo invocando elezioni anticipate. Gli andò buca.

I resto è cosa nota. Durante gli anni di governo cominciarono le defezioni e le espulsioni e la frana è continuata fino all’uscita dal Movimento dello stesso Di Maio- che ne era stato il segretario – con una pletora di deputati e senatori tutti al secondo mandato, preoccupati di non essere ricandidati, come poi è successo per il veto, senza deroga alcuna, di Grillo che lo ha imposto a Conte, che attualmente guida il movimento. Di Maio, con alcuni seguaci, hanno trovato posto nel PD, altri in formazioni diverse. I più sono rimasti fuori come Fico, Presidente della Camera, Bonafede ex ministro della Giustizia, la Taverna ed altri che pur avevano fatto un lavoro apprezzato in Parlamento.

Ora il partito/movimento è quotato –secondo i sondaggi – sul 10/ 12%. Potrebbe crescere ancora ma non supererebbe la metà dei voti conquistati nel 2018. La cupio dissolvi, caratteristica della sinistra ha contagiato anche il Movimento nonostante gli sforzi di Conte per farlo diventare un partito politico nel senso costituzionale del termini, depauperandosi di risorse preparate e valide.

Grillo, al di là delle intuizioni geniali, resta sempre un comico con scarsa conoscenza e pratica politica. Ma parlare di politica è una cosa, farla è più complicato ed ha bisogno di conoscenza e di esercizio. Per questo il dualismo con Conte è destinato, prima o poi, a deflagrare.

                                                                   di Nino Lanzetta



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