23 novembre 1980
Li portiamo dentro quei morti
e gli umili silenzi che cuciono storie di terra.
Ricordiamo gli uomini sferzati dal freddo,
come viti intrecciate
nella piazza che conta lutti e dolori.
Hanno la giacca di velluto
e mille domande sotto coppole a quadri.
Le rughe sono pietre che tagliano coltelli.
Mani callose accendono fuochi di notte
con legna astipata per tempi di battaglie.
Stanno con le vene pensose di sempre
le donne con i loro scialli neri.
Masticano, curve,
le parole mute di giorni perduti.
Il focolare è crollato,
si fa il pane col grano che resta.
Le unghie hanno scavato fino al sangue di foto e ricordi.
Il sussidiario ha pagine scampate all’inferno.
Su una parete spaccata dal sisma
pende un quadretto di San Gerardo
e un lumino che dice la compagnia dei morti.
Ora si sta nel vento
con gli occhi rossi di paura.
Nell’aria di nocciole e fumo di castagno
si respira l’acre della morte bastarda,
venuta di spalle a falciare l’innocenza dei contadini.
Manca tutto,
solo la nostra umanità ci fa scudo.
Storie spezzate abitano il verde delle vallate,
un pensiero guerriero
alza grida e volti
dai portali bianchi
sbranati dall’onda.
La lana fascia le ossa lavate dal vino.
Raccogliamo l’anima dei paesi finiti nei burroni
insieme coi sogni.
La mia gente ha la forza del lupo.
Domani torneremo a zappare
con le ferite nel cuore.
Gerardino Picardo
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