Di Guido Bossa
La polemica fra governo e magistratura scoppiata in seguito ad un’imprudente intervista del ministro Guido Crosetto, poi ridimensionata nel successivo intervento parlamentare del titolare della Difesa, non può essere ridimensionata come se si trattasse di una momentanea incomprensione fra poteri dello Stato priva di conseguenze a lungo termine. La difesa ad oltranza da parte di Giorgia Meloni del sottosegretario Delmastro rinviato a giudizio per aver diffuso atti riservati, e ancor più l’allarme lanciato da ventisei presidenti delle Corti d’Appello contro i rischi di paralisi della macchina giudiziaria derivanti dall’applicazione della riforma Nordio sulla prescrizione, mostrano che è in atto uno scontro che non potrà concludersi con un pareggio. Si è detto, e con qualche ragione, che tutto sommato stiamo assistendo alla riedizione della “guerra dei trent’anni” fra politica e giustizia ingaggiata da Silvio Berlusconi, che finora non ha visto né vinti né vincitori; ma questa volta qualcosa è cambiato nel clima generale del Paese, e quindi la partita potrebbe finire in altro modo. Il consenso popolare attorno all’attività giurisdizionale si è notevolmente ridotto, anche in seguito al fallimento di processi monstre come quello sulla presunta e mai dimostrata “trattativa” fra Stato e mafia, dove è sembrato che alcuni uffici giudiziari volessero mettere sotto accusa la politica che aveva sconfitto la mafia stragista, mentre invece si coprivano fallimenti investigativi clamorosi come la creazioni di falsi pentiti e si dava credibilità a personaggi ambigui se non proprio collusi con la criminalità organizzata. In questi anni, mentre complessi castelli accusatori venivano smantellati a colpi di sentenze di assoluzione, anche la politica ha preso atto del mutamento d’umore dell’opinione pubblica, al punto che un partito “d’ordine” come Fratelli d’Italia oggi è impegnato a limitare i poteri d’iniziativa della magistratura. Su tutt’altro versante, è facile rilevare (e lo confermano i sondaggi) che la proposta di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio con il conseguente ridimensionamento delle prerogative del Quirinale e dei poteri del Parlamento, si fa strada agevolmente in un’opinione pubblica delusa dai fallimenti di una politica fortemente screditata anche per proprie responsabilità accumulate negli anni del qualunquismo populista culminati con la mortificazione del Parlamento mutilato di un terzo della rappresentanza. Insomma, il tentativo di mettere sotto controllo i magistrati e di incrinare l’equilibrio dei poteri riducendo gli spazi della democrazia può oggi riuscire, a differenza del passato, proprio perché si sono ridotte le capacità di autodifesa della società e della politica. Giorgia Meloni lo ha capito, ed è per questo che ha deciso di giocare in prima persona la partita rilanciando l’intera posta in vista dell’appuntamento delle Europee di giugno, senza escludere l’ipotesi di candidarsi in tutti i collegi in quello che a quel punto sarebbe un vero e proprio referendum sulla propria leadership.
Post Views: 71