La pandemia da Coronavirus ha puntato i riflettori sulla vitamina D, per la sua funzione antivirale e immunostimolante. Ma l’ala protettiva della “vitamina del sole”, sintetizzata dalla pelle sotto l’azione dei raggi ultravioletti, va oltre la fissazione del calcio e del fosforo nelle ossa, e il rinforzo del nostro apparato di difesa. Anche la salute del cuore beneficia degli alti livelli di vitamina D mentre, se la sua concentrazione ematica è bassa, tutto il sistema cardiocircolatorio ne risente. Lo confermano le ultime ricerche scientifiche, alcune delle quali condotte in Italia.
La vitamina D protegge e ripara il cuore
«Uno studio condotto nel 2015 su 808 pazienti infartuati dai ricercatori del Monzino di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica Medicine, ha evidenziato una chiara correlazione tra bassi livelli di vitamina D, testata a ogni paziente, e rischio di complicanze post-intervento, sia in ospedale sia a un anno di distanza dall’infarto del miocardio», spiega il professor Giulio Pompilio, direttore scientifico dell’IRCSS Centro Cardiologico Monzino di Milano.
«Non solo chi era in deficit vitaminico andava più facilmente incontro a gravi complicazioni quali aritmie maligne e shock cardiogeno, ma a un anno di distanza il tasso di letalità era sensibilmente più alto rispetto a chi mostrava un tasso di vitamina D nella norma».
Un altro studio del 2017, sempre curato dal Monzino e pubblicato sul World Journal of Cardiology, dimostra come la carenza di vitamina D sia associata a un cattivo “rimodellamento” del cuore colpito da infarto, che si indebolisce sempre di più, mentre buoni valori favoriscono i processi di autoriparazione e rigenerazione del muscolo cardiaco, così gravemente colpito.
Un terzo studio statunitense, pubblicato nel 2016 sul Journal of American College of Cardiology, conferma l’importanza di una supplementazione di vitamina D, nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca, per aiutare il cuore a funzionare meglio. Con un impatto positivo anche sullo scompenso cardiaco.
In che modo la vitamina D protegge il cuore
Ma in che modo la vitamina D riesce a tutelare il cuore? «Il meccanismo di azione non è ancora del tutto chiarito», risponde il professor Giulio Pompilio. «È molto probabile che, essendo un pro-ormone, entri in un complesso gioco di reazioni metaboliche che favoriscono la capacità del cuore di autoripararsi. Tant’è che oggigiorno, nei pazienti cardiopatici, è buona norma dosare la vitamina D, essendo considerata un’imporrante marker predittivo della prognosi di una malattia, oltre a essere una spia del sistema neurologico e della stato di salute in generale».
Tra l’altro la vitamina D aiuta a prevenire diabete e obesità, due piaghe sociali del mondo moderno che influenzano negativamente il sistema cardiovascolare. È infatti antagonista dell’ormone paratiroideo, il cui eccesso favorisce l’insorgenza dell’obesità e, di riflesso anche del diabete di tipo alimentare, l’altra faccia della stessa medaglia.
Le fonti alimentari
Sebbene la parte da leone sia svolta dal sole, anche la dieta ha una certa importanza per non scivolare nel deficit di vitamina D, che si evidenzia ogni volta in cui i livelli scendono sotto i 30 ng/ml. «Poiché si tratta di una vitamina liposolubile, cioè che si discioglie nel grasso, tra gli alimenti che ne sono ricchi troviamo quelli ad alto contenuto di lipidi», avverte la dottoressa Sara Valente, biologa nutrizionista a Roma.
«Via libera, quindi, a pesce azzurro fresco come aringhe, sardine e sgombro, ma anche ad altri pesci grassi come il salmone (specie quello selvaggio e affumicato) e il tonno. Buona fonte di vitamina D sono anche il fegato di vitello, di pollo e di manzo, i latticini interi e il tuorlo d’uovo, specie se da uova biologiche prodotte da galline allevate a terra che mostrano di avere un contenuto nettamente superiore.
Da consumare regolarmente anche l’avocado che, oltre alla vitamina D, apporta acidi grassi polinsaturi preziosi per la salute del cuore, vitamina C, E e calcio. Ricchi di vitamina D sono anche i funghi freschi che, come la nostra pelle, riescono a sintetizzarla sotto la luce solare, anche una volta recisi. Tant’è che molti produttori li espongono alla luce ultravioletta per aumentarne il patrimonio vitaminico. Strategia, questa, che è possibile applicare anche a casa, esponendoli al sole per 30 minuti prima di cucinarli». Secondo una recente ricerca dell’Università di Boston il contenuto di vitamina D racchiuso nei funghi esposti agli UVB è pari a quello di un integratore e si mantiene elevato per otto giorni. Dopodiché, decade se non vengono cucinati.
«Al supermercato è poi possibile trovare molti alimenti funzionali, arricchiti di vitamina D durante la fase di produzione», prosegue la dottoressa Sara Valente. «Tra questi il latte vaccino, il burro, i latti vegetali, il tofu e i mix di cereali per la colazione, soprattutto i fiocchi di avena. Non c’è praticamente prodotto che non vanti in etichetta l’addizione di questa vitamina».
Quando ricorrere a un integratore di vitamina D
A differenza della vitamina C, che si degrada con il calore, la D è termostabile e sopporta bene le alte temperature della cottura. Tuttavia sì è visto che, attraverso la sola alimentazione, non si riesce a coprire tutto il fabbisogno giornaliero che da 600-800 U.I. (Unità Internazionali), dopo i 55-60 anni aumenta notevolmente, arrivando a 1000- 4000 U.I. al giorno. «Per questa ragione, se dagli esami del sangue risulta che la vitamina D è in forte deficit, occorre integrarla con un prodotto ad hoc prescritto dal medico di base o dal cardiologo, secondo una posologia personalizzata», spiega la dottoressa Sara Valente.
«In commercio esistono diverse formulazioni di vitamina D: compresse, capsule molli, gocce oleose, sospensioni colloidali e persino una pellicola sottile come un’ostia che si scioglie in bocca. Anche se la tipologia in olio è la più utilizzata, personalmente preferisco le formulazioni ad assorbimento sublinguale che non richiedono acqua, non disturbano lo stomaco e vengono subito assorbite dalla fitta rete di vene sotto la lingua. Uno studio del 2019 dimostra che, a parità di dosaggio, i livelli sierici di vitamina D somministrata in questa formula sono quasi il doppio di quelli rilevati con le tradizionali formule ad assorbimento intestinale».
gennaio 2020
Fai la tua domanda ai nostri esperti