Di Franco Festa
Com’è noto, un tavolo non parla. Nato dall’intelligenza e dalla fantasia dei nostri antenati primitivi, per secoli e secoli ha svolto con cura la sua funzione di sostegno. Tutti gli oggetti, utili e cari al nostro cuore, vi hanno trovato accoglienza, tutte le cibarie vi hanno trovato spazio; libri, giornali, computer hanno su un tavolo il loro luogo naturale. E potremmo continuare all’infinito, esaminandone le varie funzioni che può avere, e la forma, affidata alla consuetudine o alla fantasia. Per non parlare del materiale di cui può essere costruito, dell’altezza, dell’estensione, dei segni del tempo che può custodire. Ma che un tavolo possa parlare non fa parte davvero del campo delle umane possibilità. Invece, miracolo, ad Avellino i tavoli parlano. Da parte di coloro che da mesi si stano riunendo per trovare un nome decente che rappresenti il cosiddetto “campo largo”, buon ultimo dal vicepresidente dei 5 stelle, Gubitosa, ci è toccato di sentire espressioni del tipo: “il nome di Gengaro è venuto fuori dal tavolo”, oppure “dal tavolo non è uscito il nome di Giordano”. Orbene, preso atto del fatto che un nome non può venir fuori da un nascondiglio sotto il tavolo, è chiaro che è stato il tavolo a parlare. E finalmente il mistero è svelato. Al tavolo del centrosinistra, da mesi, non si svolgono confronti tesi a offrire alla città un possibile candidato, ma sedute spiritiche. Lo sforzo comune dei partecipanti è quello di evocare gli spiriti dei defunti, per chieder loro di trovare una soluzione ai problemi che affliggono la comunità. Non riuscendo a trovare un vivo passabile, non resta infatti che rivolgersi ai morti. Che si tratti di Di Nunno, il nume tutelare di Controvento, o dei vecchi notabili democristiani, cari al PD cittadino, o di D’Ambrosio, a cui la Sinistra ancora accende ceri, i mesi sono trascorsi in quelle stanze chiuse, con poca luce, a evocare il passato, in uno stato alterato delle coscienze collettive, con il medium che cambiava continuamente, ora ad Avellino, ora a Napoli, ora a Roma. Ogni tanto una voce arcana si è alzata misteriosa, ogni tanto dal tavolo è uscito un nome, quasi sempre incomprensibile, quasi sempre un morto che si rifiutava di rinascere a vita, visti i presenti. Ogni tanto un oggetto lievitava nella stanza, la figurina di De Luca per Petracca, l’immaginetta di Beppe Grillo per Ciampi. Per un istante è lievitata anche un’idea vera, ma è stato un falso allarme. Alla fine, dopo estenuanti sedute, dopo sforzi di concentrazione inauditi per convogliare una comune energia, qualcosa si è materializzato ed è apparso al centro della stanza: il Nulla. Un applauso liberatorio si è diffuso tra i presenti: finalmente un candidato è stato trovato, capace di opporsi a Festa, di ridare speranza alla città. E tutti si sono abbracciati per la gioia, tranne quelli di APP, che avevano lasciato il tavolo, poco prima del glorioso finale, convinti che “nessun rinnovamento è possibile nello spazio dell’autoproclamata politica “progressista” della città”. Il Nulla, vincitore, li ha umiliati e derisi, mentre abbandonavano dignitosamente quella indecente corte dei miracoli.
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