“Le tesi consolatorie non servono più, sono ormai superati dai fatti di cronaca che confermano la presenza della camorra in città. Amministrazione e consiglio comunale devono costruire argini di legalità nella città in piena crisi economica e facile preda della criminalità”. Il capogruppo di Si Può Amalio Santoro suona la carica a Palazzo di Città e, più in generale, a quel “centrosinistra che manca”. Santoro analizza i fatti emersi dall’inchiesta Aste Ok, prologo dell’operazione Partenio 2.0, che ha portato agli arresti di quattordici persone.
“Anche questa seconda fase dell’indagine da parte della Dda evidenzia che la camorra aveva messo radici profonde anche in città e non sappiamo se la malapianta sia stata del tutto estirpata- dice Santoro- c’è un’ampia fetta del territorio irpino, dalla città all’Alta Irpinia, passando per Valle Caudina e Vallo Lauro, dove la camorra ha messo le mani. Ma la battaglia non può essere delegata solo alla magistratura. Il quadro grave che emerge dalle inchieste antimafia impone di non accontentarsi più di tesi un po’ consolatorie. L’emergenza sanitaria e quindi sociale degli ultimi mesi favorisce l’insediarsi di gruppi criminali che affondano i loro artigli nella sofferenza di larghi settori della società irpina. Ed è lì che istituzioni e politica devono intervenire facendo argine al territorio”.
A preoccupare l’esponente di opposizione “è l’inquietante emergere dell’allargarsi della cosiddetta zona grigia, e cioè il coinvolgimento di ceti professionali insospettabili che diventano elementi fondamentali per portare avanti l’attività criminale. Al di là delle responsabilità penali dei singoli, c’è una zona d’ombra che preoccupa e che non sorge a caso. Basti pensare a cosa è avvenuto ad Avellino negli ultimi anni, a quante stagioni oscure abbiamo alle spalle. Non c’è stato settore della vita pubblica cittadina, dalle case popolari alle questioni relative a bilanci, all’inquinamento ambientale fino alla gestione di società pubbliche come Acs e Alto Calore, che non abbiano richiesto l’intervento della magistratura. Abbiamo alle spalle anni devastanti che hanno coinciso con la crisi profonda dei partiti che ha fatto sì che la società fosse priva di anticorpi. Tutto questo ha generato l’insediamento del potere criminale e di un ceto para amministrativo che usa la politica e l’amministrazione come opportunità per sé e per gli amici. La politica si riduce a convenienza del momento, i pochi partiti che ancora ci sono appaiono ridotti ad osterie di periferia dove raccattare qualcosa. Così si annulla ogni anticorpo di legalità”. La spinta a fare di più è, chiaramente, rivolta a Palazzo di Città: “la risposta che arriva dal Comune, con una tardiva e sollecitata costituzione di parte civile al processo contro il clan, mi sembra a dir poco minimalista. Non si può non avere consapevolezza della gravità del momento né sfuggire a giudizi di verità. La fase che stiamo vivendo non consente distrazioni né comportamenti disinvolti. Né bastano i sorrisi rispetto ad una città piegata dai colpi della malavita. La città e la provincia sono in questo momento storico facile preda della criminalità organizzata, viviamo una condizione di crisi economica e sociale che è terreno fertile per malaffare e scorciatoie. Occorrerebbe misurare anche parole e comportamenti, e accompagnarli con scelte lungimiranti. La democrazia recitativa, a livello regionale o comunale, non serve. Né basta appellarsi all’intervento governativo. Abbiamo più volte proposto al sindaco di aprire la proposta amministrativa in questa fase ai consigli e ai contributi delle opposizioni. Non perché qualcuno è alla ricerca di posti al sole, ma perché bisogna costruire una risposta di tutto il Palazzo a partire da un utilizzo meno disinvolto di meccanismi come le somme urgenze, da una programmazione mirata delle politiche sociali e da investimenti programmati delle poche risorse a disposizione. Abbiamo in sostanza chiesto semplicemente di coinvolgere il più possibile la città, ma questo al momento non è ancora avvenuto. Gli uomini soli al comando non bastano, in questa fase nessuno si salva da solo né dentro né fuori palazzo di Città”. Un riferimento, quest’ultimo, alla politica e al centro sinistra che manca “nel suo ruolo di collante- prosegue Santoro- che non può essere svolto dall’inguardabile Pd irpino, che resta il non luogo della politica. Ci vorrebbe uno strappo rispetto a ciò che è stato per costruire, anche sul modello dello schema nazionale e impegnando i gruppi dirigenti, una risposta corale. Siamo di nuovo alla fase uno, in assoluta emergenza sanitaria, economica e sociale. Avevamo chiesto al sindaco di farsi promotore di un’iniziativa di verità per sapere qui ed ora qual è la condizione del Moscati, se garantisce assistenza efficace ai pazienti Covid e non solo, se c’è qualche novità sulle residenze in cui ospitare contagiati pauci sintomatici. Avevamo chiesto la convocazione dell’assemblea dei sindaci Asl per comprendere se e come sta funzionando il sistema del tracciamento positivi e come migliorarlo. Al di là di poche e modeste iniziative di screening, nulla di tutto questo è stato fatto. Il modello Avellino non è mai esistito, e se esisteva è già fallito. Bisognava cercare di fare della città un’avanguardia anche nella crisi, ecco perché l’opposizione aveva dato disponibilità al confronto non per ottenere strapuntini di potere ma per accelerare le procedure nelle commissioni e nel consiglio comunale. Ma dall’altra parte c’è il muro di un sindaco che ormai urla alla luna”.