Nonostante l’estenuante e duro confronto tra i paesi mediterranei europei ed il piccolo gruppo di paesi cosidetti frugali, si avverte la consapevolezza che l’attuale è il momento dell’Europa. Quelli che affermano che l’Europa è malata di egoismo dovrebbero approfondire l’esigenza, all’interno delle istituzioni europee, di una democrazia attiva e responsabile con un funzionamento perverso dove “i nani fanno i giganti” come Romano prodi ha ieri commentato sulle pagine del Mattino. Il risultato, comunque positivo dell’accordo sul Recovery Fund, ha dimostrato che l’Europa c’è nonostante lo scontro sui diversi interessi nazionali e sulle regole democratiche non più idonee per fronteggiare le tante emergenze sociali ed economiche e la necessità dell’immediatezza delle decisioni rispetto alle dinamiche dei mercati globali, contrassegnate dalla “guerra fredda” tra Stati Uniti e Cina. È innegabile, frattanto, che la solita storia dell’integrazione europea registra un enorme passo in avanti a fronte delle estreme difficoltà emergenti. È anche innegabile che dietro questa retorica dell’integrazione non c’è pensiero critico. Il percorso d’integrazione europea dal 1959 al 1992 è avvenuto con il legame di ferro con gli Stati Uniti, dal piano Marshall alla remissione dei debiti tedeschi alla NATO, dalla paura dell’espanzionismo sovietico al boom nel periodo successivo al 1945. La scelta poi, ben elaborata dal cancelliere Gerhard Schroeder, di considerare l’euro come strumento di crescita dell’export tedesco, ha definitivamente sancito l’egemonia di Berlino e debilitato un’economia, come quella italiana, già scossa dalla crisi dello Stato post 1992. Attualmente i non pochi osservatori delle vicende europee, ritengono la egemonia di Berlino, ma nel contempo non ignorano la possibilità di un ulteriore avanzamento dell’integrazione europea, soppesando positivamente la ripresa di un certo ruolo della Baviera, la definitiva maturazione di una credibile sinistra a livello continentale, il ridimensionamento della macchina euroburocratica. A questi segnali si potrebbero considerare realisticamente possibili prezzi di una progressiva colonizzazione alla greca della nostra Penisola e una riedizione di una unificazione italiana alla piemontese con l’Italia nel ruolo del Mezzogiorno, con qualche rischio di presenza di tedeschi, danesi, svedesi e altri “ansiatici” virtuosi grazie alla spartizione di un patrimonio che vede in Italia depositi e attività finanziarie per 6.200 miliardi di euro. Uno scenario come quello che si prevede per settembre, con decine di migliaia di piccoli imprese industriali e commerciali fallite, con milioni di disoccupati, con un MES che ha già varcato la soglia di casa, potrebbero configurare questo esito. Uno sbocco alternativo a questo scenario potrebbe essere un’alleanza con la Francia, con Emmanuel Macron in crisi politica, per ragioni interne e internazionali. La via di un blocco latino in seno alla UE consentirebbero all’Italia di mobilitare risorse adeguate a una sua ripresa, senza subire cure alla greca con la disgregazione definitiva del proprio patrimonio. Naturalmente sono necessarie alcune concrete motivazioni: una più autorevole politica estera italiana, il superamento dell’attuale burocrazia, diverso sistema di autonomie e decentramento, una positiva riaggregazione della politica italiana.
di Gerardo Salvatore
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