Si è tenuta sabato scorso la presentazione del volume di Giancarlo Guercio “Limen e Meta”, edito da Rubbettino, appuntamento conclusivo della quarta edizione della rassegna “Avellino letteraria” nella cornice di Villa Amendola. A confrontarsi con il direttore artistico la professoressa Milena Montanile dell’Università di Salerno, il professore Rino Caputo, docente all’Università di Roma “Tor Vergata” e il professore Vincenzo Salerno dell’Università di Salerno. Proponiamo di seguito la relazione della prof.ssa Milena Montanile
di Milena Montanile
Pirandello, si sa continua a parlare e a parlarci, soprattutto oggi, anni in cui superata da tempo la ventata postmodernista, il disagio dilaga ovunque, coinvolgendo il concetto di identità e lo stesso principio di realtà. Lo spunto a tornare su questo autore ci viene dal libro di Giancarlo Guercio che stasera qui si presenta, Limen e meta. Luigi Pirandello e la fenomenologia. Un libro sicuramente singolare già nel titolo, che dimostra quanto sia interessante e proficua una prospettiva di analisi lontana da ipotesi interpretative univoche, assolutamente inadatte a rappresentare la magmatica complessità del pensiero e dell’opera di Pirandello. L’autore imbocca una strada decisamente più stimolante, nell’intento di superare le gabbie di una riduttiva negazione della verità attraverso un ribaltamento della concezione relativista e puntando sulla dimensione fenomenologica dell’alterità, dell’oltre/altro, che non va intesa in funzione oppositiva rispetto a ciò che appare, ma apre verso riverberi di essenze molteplici e di esistenze plurime che consentono uno sguardo diverso sulle cose e sugli uomini: “non per affermare un superamento del limen” come precisa Sichera nella bella prefazione, “ma per abitarne lo spazio in una maniera aperta, e problematica”. Mi piace pensare, scherzosamente, più che a una tradizionale presentazione, a una sorta di messa in scena di Pirandello, un autore che più di ogni altro ha parlato di teatro anche quando, apparentemente, non parlava o non scriveva di teatro. A questo punto non posso non riandare a ritroso nel tempo e notare che in una fine di marzo di sette anni fa, in occasione di 150 anni dalla nascita di Pirandello, l’autore del libro che stasera qui si presenta, dottore di ricerca, impegnato nello studio e nell’approfondimento dell’opera pirandelliana, fu costantemente al mio fianco, prezioso collaboratore nella organizzazione di un impegnativo Seminario interdipartimentale tutto centrato sul tema dell’Oltre. Un sodalizio collaudato nel tempo; erano gli anni in cui prendeva corpo l’argomento della sua tesi dottorale che ci vide insieme a discutere tesi, a saggiare ipotesi interpretative, un lungo tirocinio di letture da cui nacque l’idea del Seminario nell’intento di sollecitare una riflessione trasversale sui testi pirandelliani, di dar vita a un incontro di studi che ci piacque immaginare come un vero e proprio dialogo tra i saperi intorno all’opera di Pirandello. La partecipazione, all’epoca di tre dipartimenti, rese possibile questo obiettivo che fu per noi una vera e propria sfida. Ne scaturì un dialogo proficuo (al quale prestarono un contributo prezioso tra tanti altri, il professore Rino Caputo, qui con noi), con un taglio fortemente interdisciplinare, sollecitato anche dal desiderio di ripensare in un momento sicuramente delicato per il destino del sapere umanistico, molte delle più comuni convinzioni sulla nostra storia culturale, e sul modo in cui fino allora era stata studiata. Si trattava di un invito per una rilettura dell’opera pirandelliana, aperta alle sollecitazioni di tutto un filone di ricerca che aveva posto al centro della indagine una speculazione sull’oltre. I risultati di quell’affascinante impresa, alla quale parteciparono studiosi di natura e di formazione diversa, sono raccolti nel volume 65mo della Biblioteca di Sinestesie. Ora mi piace pensare che l’assunzione in epigrafe di questo libro di un luogo tratto dal Serafino Gubbio operatore (“C’è un oltre in tutto. Voi non volete o non sapete vederlo”) sia l’espressione di un collegamento ideale che l’autore ha inteso istituire con quella lontana esperienza che fu sicuramente una tappa significativa della sua esperienza umana e intellettuale, la genesi di un percorso che trova nella stesura di questo libro la sua espressione più compiuta. Ancora una volta, nel bel titolo scelto, Limen e meta, ritroviamo, al di là della mobilità dei punti di vista critici, la fiducia nella validità di una lettura fenomenologica, che sposta il nucleo vitale dell’opera pirandelliana nella capacità di cogliere, dietro e oltre il limen la molteplicità della vita, il senso riposto dell’esistenza. Che è ancora un modo per riportare al centro dell’attenzione il rapporto tra limen e meta sollecitando ad esplorare quel senso dell’oltre, inteso come dimensione inaccessibile e misteriosa, metapsichica e irrazionale, ma non per questo meno autentica e vera. Indubbiamente convergono in questo libro le personali predilezioni dell’autore per il linguaggio e le tecniche teatrali che da sempre hanno alimentato i suoi studi, in particolare, ricordo appena quelli sulla tragedia classica ai tanti, numerosi, sulla drammaturgia napoletana del secondo Novecento.
Quindi studioso di teatro, ma anche e direi soprattutto ‘praticante’ di teatro, Giancarlo Guercio è autore e regista teatrale, è stato collaboratore del regista Antonio Calenda e codirettore del Teatro Nuovo di Salerno, promotore di Dinamiche metateatrali, ossia di laboratori esperienziali extrateatrali. e ancora direttore di un Istituto di arti sceniche nel Vallo di Diano. Oggi docente a contratto di Storia della drammaturgia antica all’Università Pontificia Salesiana di Roma. Di lui mi piace ricordare ancora il contributo, valido e appassionato, speso per la buona riuscita del Seminario di cui ho detto. Per altro si deve a lui l’ideazione e la regia di un allestimento scenico, realizzato in quella occasione con gli allievi della sua scuola di teatro. Si trattò di un singolare riattraversamento della scrittura pirandelliana, narrativa e teatrale, nell’ottica, appunto, dell’Oltre, ma anche una sorta di provocazione che giocava sulla possibilità reale di dare concretezza a una verità di per sé misteriosa e sfuggente (il titolo Signori, a Voi, l’Oltre, ben esemplifica gli intenti da lui ben chiariti in una densa Nota di regia: “Il mistero, scrisse in quella occasione, è la rivelazione di un’essenza che si trova oltre la realtà, al di là di un confine logico, spesso inspiegabile secondo un criterio puramente razionale. E’ il mistero, l’occasione di sentire che superate le “Colonne d’Ercole” della ragione, esiste ancora un universo pullulante di essenze, così forti da assumere una forma. Non a caso la scrittura di Pirandello, sconnessa e multiforme, è sempre protesa verso piani ulteriori, una scrittura che trasmette inevitabilmente un inquietante quanto affascinante senso di straniamento Da qui l’idea di far parlare i testi, afferenti a generi diversi, novelle, romanzi e drammi, nella ferma convinzione che è possibile rintracciare un itinerario teatrale in tutta l’opera di Pirandello, ed è possibile proprio in virtù della perenne tensione dell’autore a spingersi oltre le soglie del reale, al di là di un confine logico, in un mondo extrasensoriale, dapprima percepibile coi sensi dell’anima e da essi prefigurabile in immagini reali. Un percorso che portò l’autore di questa singolare messa in scena a riflettere sulla centralità nell’ opera di Pirandello della produzione novellistica in cui si celano, come prodromi o essenze, i tratti di certi personaggi o situazioni, trasposti poi nella forma del romanzo o del dramma. E non è un caso, che sostenuto da questa consapevolezza, l’autore dedichi in questo libro un intero capitolo a una proposta di lettura fenomenologica di due novelle E due! e Una giornata, due novelle che, per i contenuti e per la presenza di elementi che trascendono dalle evidenze fenomeniche a livelli ulteriori, si prestano pienamente a un’analisi di tipo ermeneutico nella prospettiva di Heidegger.
E qui l’autore ha dato prova di una capacità di scrittura e di interpretazione notevole, ponendosi sulla traccia di quegli elementi di ambiente che fanno da ‘sfondo esistenziale’, elementi ch’egli legge come vettori importanti capaci di veicolare campi semantici utili per la comprensione del testo, restituendo la perenne tensione tra mondo reale e incoscio. Suggestiva anche la felice rappresentazione grafica del nucleo prismatico del meta-teatro in cui l’autore colloca la disposizione degli elementi del vissuto all’interno di un microcosmo circolare diviso in due parti, che vede proiettati i vissuti di ciascuno, ora dettati e creati non solo dall’artista, ma anche dagli attori e dagli spettatori, confondendoli e mescolandoli. Pirandello, osserva l’autore, “è stato il fautore della IV parete ma anche colui che l’ha scalfita, abbattendola del tutto. Egli continua a manovrare i meccanismi della scena, si muove tra funzioni e finzioni, spinge ogni cosa verso il fondo, dove sa che risiede un humus inconoscibile e misterioso in grado di restituire il vero senso delle cose e della vita”. Si comprende bene allora il rapporto strettissimo tra la raffinata lettura critica che l’autore propone in questo libro e la sapiente messa in scena a suo tempo allestita nell’ambito del Seminario, interessato piuttosto a interpretare il modus operandi di Pirandello; di qui l’idea di mettere insieme brani appartenenti a generi diversi, incoraggiato dallo stesso modo di operare di Pirandello che (in linea con il concetto di meta-letteratura e di meta-teatro) usava rimaneggiare brani delle opere precedenti “presentando così una sorta di deflagrazione testuale”, capace di spingere il potenziale concettuale e artistico delle sue stesse opere verso ulteriori, possibili esiti di scrittura. Ebbene il libro che stasera qui si presenta non è altro che il controcanto di quella suggestiva messinscena, anzi oserei dire è il suo irrinunciabile presupposto. Ma proprio oggi questo libro si arricchisce di ulteriori suggestioni. Non a caso abbiamo pensato di affiancare all’evento una mostra fotografica di un’artista romana, Anna Giulia Pagliuso, reduce dal successo di una collettiva tenuta nella sala Dantebus di Via Margutta a Roma, che si addentra con la sua arte nei recessi più intimi delle cose e della vita, in una ricerca continua di una dimensione oltre: appunto Oltre il visibile, dentro in sentire: è su questi temi che l’evento di stasera, così vario e ben caratterizzato, trova i suoi fondamenti dimostrando quanto sia proficua e utile una riflessione che nasca da una contaminazione tra le arti.
Che sia la letteratura, la fotografia, la pittura, tutto concorre a restituire un’immagine più compiuta dell’uomo, oltre ogni apparenza. Certo nella suggestiva resa delle immagini, qui esposte in mostra (si precisa che si tratta solo di una selezione, un piccolo assaggio in attesa che sarà pubblicata la sua opera omnia), entra in gioco non solo la capacità dell’artista di dare forma e colori a una narrazione che sfida la percezione, lasciando a ciascuno la possibilità di riconoscere il sé che è o che potrà essere, in breve sollecitando a guardare oltre ogni apparenza, ma un rilievo centrale acquista la sua consapevolezza delle enormi potenzialità dell’arte fotografica, intesa sulle orme di Barthes, come arte totale (La chambre claire, Paris 1980; trad. it. La camera chiara, Note sulla fotografia, traduzione di E. Guidieri, Einaudi, Torino 2003). E qui cito testualmente ciò che la Pagliuso stessa ha avuto modo di osservare, evocando in qualche modo alcune intuizioni del semiologo francese sul rapporto tra realtà e immagine, comunicazione e rappresentazione fotografica:
“Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato”.
E allora non possiamo che confermare il plauso espresso all’artista al suo esordio romano; un’artista che genera coi suoi scatti un’arte meravigliosa, capace di condurre lo sguardo oltre il visibile, stimolando nello spectator, lo studium e il punctum, e cioè, in pari misura, il livello razionale e quello emotivo, secondo la fine analisi di Barthes, e dando nuovo senso alla vita, alle cose, al mondo.