Mal d’amore: perché può farci ammalare e come superarlo

0
3






L’amore negato, l’amore tradito, l’amore finito. E c’è anche quello taciuto, represso nel nostro corpo come un nodo alla gola, quello appassito, con una stanca liturgia che si trascina senza slanci né passione, e quello definito “tossico” (aggettivo molto in voga) perché degenerato dall’idillio a ricatti, manipolazioni, ricorrenti discussioni violente.

Ma ci si può ammalare di amore? Sì, oggi come allora le sofferenze del cuore possono far cadere nella depressione (una malattia psichiatrica, non uno stato d’animo passeggero), nell’ansia, nell’insonnia, negli attacchi di panico, nelle palpitazioni cardiache, nei disturbi del comportamento alimentare, nelle dermatiti e nelle emicranie croniche. Parola della professoressa Maria Malucelli, psicoterapeuta cognitivista e docente di psicologia clinica alla Fondazione Fatebenefratelli di Roma, che nel suo libro dall’eloquente titolo Sara e la malattia chiamata amore (Armando editore) racconta la storia di una 20enne che ha paura di manifestare i suoi sentimenti verso il ragazzo che le piace, apparendo fredda e distante ma pagando questa sua repressione con dolore e crisi di pianto, dovute a emozioni altalenanti tra rabbia e tristezza.

Professoressa Malucelli, perché molte ragazze fanno fatica a esprimere i loro sentimenti? 

Molte non hanno ricevuto un’educazione sentimentale e sono cresciute in famiglie formali e ingessate, dove non ci si abbraccia, non si scambia mai un bacio o una coccola. Quindi, anche quando incontrano o credono di avere incontrato il vero amore, anziché seguire la strada tracciata dal nuovo sentimento, si chiudono a riccio e cominciano a manifestare nervosismo, insofferenza, mal di testa e difficoltà nello studio o nel lavoro.

Al posto di aprirsi al nuovo con fiducia, si bloccano e queste paralisi interiori producono un disagio che diventa tangibile e si manifesta in diversi disturbi psicosomatici, segno dell’incapacità di esprimere se stesse e di lasciarsi andare. Se il problema si cronicizza, e la ragazza arriva a declinare gli inviti degli amici per timore di non “essere all’altezza” e di sentirsi inadeguata in ogni contesto, occorre rivolgersi a una brava psicoterapeuta per intraprendere un percorso volto ad aumentarne l’autostima. Altrimenti, se la situazione non si sblocca da sola con il passare dell’adolescenza, la ragazza non si sentirà mai “abbastanza” e si convincerà di essere inadatta ad amare e essere amata.

Capita che nelle adolescenti le delusioni d’amore a volte sfocino nell’anoressia/bulimia?

È un discorso complesso. Una ragazza riesce a superare una delusione sentimentale se ha sperimentato un “attaccamento sicuro” con i propri genitori e con l’ex ragazzo. Per sicuro intendo un legame basato sull’accettazione incondizionata dell’altro, che non cerca di cambiare comportamenti, aspirazioni e persino i tratti del carattere. Se la ragazza si sente accettata per quello che è, con i suoi limiti e con i suoi lati che forse non coincidono perfettamente con le aspettative della famiglia o del ragazzo, in genere ha una personalità ben strutturata e riesce a superare le delusioni.

Al contrario, se avverte continuamente il tentativo di essere trasformata in qualcosa di diverso da se stessa, per adattarsi a un modello imposto da altri, allora al primo scoglio sentimentale cerca una falsa compensazione attraverso il cibo, assunto in eccesso (bulimia) o in difetto (anoressia). Poiché sente di aver fallito a livello di relazione, sia famigliare che di coppia, la ragazza cerca di trasformarsi in quello che non è, diventando un’altra persona, magrissima o grassissima.

L’ossessivo controllo sia del peso sia del cibo è sostenuto, infatti, dalla dismorfofobia, cioè l’alterata percezione del proprio corpo, vissuto come un pezzo di pongo da riplasmare a piacere per sentirsi ancora sottilmente padrona della propria vita che altri vogliono espropriare. Inutile dire che in questi casi bisogna affidarsi a uno psicoterapeuta esperto in DAP (disturbi alimentari psicogeni) o in DCA (disturbi del comportamento alimentare), per sbrogliare la matassa e cercare di mettere fine alla percezione del proprio corpo distorta.

Qual è la causa più frequente del mal d’amore tra le donne giovani e meno giovani?

La stessa di tremila anni fa. Essere lasciate, scoprire che il proprio partner ha una relazione stabile con un’altra donna, sentirsi tradite e ferite nel profondo dell’io, magari proprio quando si pensa di essere riuscite a costruire una coppia e una famiglia solide. È naturale soffrirne e non bisogna mascherare il dolore della delusione.

Bisogna, invece, lasciarsi “attraversare” da esso, come un albero che è scosso dal vento, si piega ma non crolla. Inutile girarci intorno: venire a conoscenza di relazioni extraconiugali significa provare una sofferenza cocente, specie quando “lui” dichiara apertamente di volere andarsene di casa e si spalanca l’abisso dell’essere lasciate. “Lui mi ha mollato, non mi vuole più, non è più attratto da me”: tutte reazioni di sfiducia comprensibili. Ma attenzione a non addossarsi le colpe della fine della relazione.

Le donne sono bravissime nel sentirsi dei “moci wileda” quando qualcuno le pianta in asso. Si domandano “dove ho sbagliato?”; che cosa ho fatto o che cosa non ho fatto per evitare che si arrivasse al punto di non ritorno?”.
Si interrogano e si torturano come se tutto dipendesse da loro. Sprofondano nelle sabbie mobili delle colpe, senza rendersi conto che queste forniscono un alibi per non andare avanti, per continuare a crogiolarsi in un lago di accuse e controaccuse. Il senso di colpa, infatti, ha una funzione depressogena. Invece no, bisogna capire che molte cose accadono, si evolvono o involvono anche senza il nostro contributo. Capita sia agli uomini sia alle donne di innamorarsi di altri, e non è colpa di nessuno. Semplicemente accade. Evitare di sentirsi una nullità perché si viene lasciate è il primo passo per non cadere nella depressione, con notti insonni e agitate, e il cuore che palpita all’impazzata nel buio. 

Cosa dovrebbe fare una donna “mollata”?

Come accennavo prima, lasciarsi “attraversare” dal dolore, accoglierlo come una fase ineluttabile che però si supera,
non rifiutarlo e neppure viverlo come una condanna eterna. Per rifiutarlo, intendo, non buttarsi subito sulle alternative, non cercare di uscire a ogni occasione per “distrarsi”. Anche alla più divertente delle feste, si sentirebbe il vuoto di un illusorio contorno.

Piuttosto, occorre riflettere su che cosa si vuole veramente, utilizzare l’esperienza vissuta per capire dove si sta andando, onde evitare di farsi accalappiare dallo stesso tipo di uomo: non ha funzionato una prima volta, non funzionerebbe nemmeno la seconda. In giro ci sono tanti narcisi e vanesi che amano specchiarsi nelle donne fino a quando queste li
assecondano in tutto, persino nel vestire, ma poi passano la palla appena la loro compagna si rivela per quello che è: non una femme fatale pronta a tutto, fuori e dentro il letto, ma una donna semplice con le sue fragilità. Io dico sempre alle mie pazienti: dovete imparare a trasformare l’abbandono subìto in un distacco, che poi è una risorsa perché ti insegna a essere emotivamente autonoma, a stare da sola senza dipendere da nessuno.

Ma per realizzare questo obiettivo occorre che la fase dello sconforto faccia il suo corso, bisogna darsi tutto il tempo che ci
vuole per elaborare la separazione. Allo stesso modo, se abbiamo una figlia giovane che ha subìto una cocente delusione sentimentale, non sottovalutiamo il suo stato d’animo con frasi del tipo “morto un papa se ne fa un altro”. Non prendiamo la sua tristezza sotto gamba ma stiamole vicino con presenza e discrezione, offrendole un porto sicuro nel quale riparare
dopo essere stata scombussolata dalle tempeste sentimentali. Il messaggio da dare a nostra figlia è: capisco che stai soffrendo, è normale. Ma io ci sono sempre per te, ti sono vicina, ti comprendo e ti sostengo.

Che cosa fare quando la passione si affievolisce?

Innanzitutto bisogna considerare che la fase dell’intensa passione e dell’attrazione fisica “irresistibile” non è eterna e tende a evolversi in qualcosa di più tiepido. C’è chi dice che il tempo dell’innamoramento, quello in cui sentono le farfalle nello stomaco e si vede il mondo a cuoricini, duri da qualche mese a un paio di anni al massimo.

Anche la biochimica dei partner cambia: alla dopamina (il neurotrasmettitore che predomina nella fase del batticuore) dopo un po’ di tempo subentra l’ossitocina, l’ormone dei legami stabili, dell’attaccamento profondo e duraturo. Insomma, nessuna relazione amorosa appena acquisita porta con sé una “garanzia Wow” eterna. Un po’ di appannamento è da mettere in conto, altrimenti si rischia di restare eterni Peter Pan o eterne sognatrici alla ricerca del principe azzurro, in cerca di un amore perennemente romantico e passionale che, poi, nei fatti non esiste. Alcune donne, però, fanno fatica ad accettare la trasformazione della fase “sesso bollente” in un’altra segnata dalla routine e somatizzano questa incapacità in apatia quotidiana, calo del desiderio, emicranie ricorrenti, eruzioni cutanee, compresa la rosacea che prende di mira il volto.

Il messaggio da dare in questi casi? Noi nasciamo con un codice biologico chiamato UC, unità di carezza. Ovvero il bisogno di un contatto fisico che da piccoli viene assolto dalla mamma, e che è utile a garantire la sopravvivenza della specie. Da adulti l’obiettivo ultimo è ricercare l’UC, cioè un’intimità fatta di complicità e tenerezza. Non significa derubricare l’amore in qualcosa che vale di meno, ma accettarne la sua naturale evoluzione.

E se si è in una relazione conflittuale?

Dipende da quanto è elevato il conflitto. Se litigi, scenate di gelosia e ricatti emotivi-affettivi sono all’ordine del giorno (“se mi lasci, non vedrai più i figli”) occorre accettare l’idea che da soli non se ne esce: bisogna chiedere aiuto a uno psicoterapeuta esperto nella terapia di coppia. Ovvero un supervisore che, a seconda della situazione, potrà programmare delle sedute insieme oppure, se il clima è incandescente, suggerire una separazione dei due provvisoria, in modo da calmare le acque e da realizzare delle consulenze individuali per capire se trasformare o meno l’aggettivo “provvisorio” in un distacco definitivo.

Durante le sedute di coppia, lo psicoterapeuta cercherà di far emergere le vere cause dei continui conflitti (incomprensioni che si sono sedimentate nel tempo) e li aiuterà a ritrovare un loro equilibrio a partire dalle cose comuni che li hanno attratti e tenuti insieme all’inizio della relazione. Possibile che non abbiano più alcuna affinità elettiva? Nelle sedute individuali, invece, l’esperto cerca di fornire gli strumenti per capire come muoversi senza continuare a procurarsi dei tagli nell’anima. Se si realizza che è meglio lasciarsi, si fornisce il supporto psicologico necessario per affrontare una separazione legale.

Psicosomatica dall’anima alla pelle

Qualunque forma assuma, l’amore-non amore, vissuto quotidianamente sulla propria pelle, può creare un disagio interiore che cerca una via di sfogo all’esterno, come istintiva protezione per non subire un tormento devastante. Così, spesso, la pelle si assume il compito di trascrivere ciò che ribolle nell’animo, cominciando a manifestare acne, eczemi di natura
ignota, a volte con pruriti insopportabili. Oppure tutto il corpo diventa teatro di intime battaglie, con se stesse prima ancora che con il partner, e si scivola lentamente nell’anoressia o nella bulimia con la segreta illusione di riuscire ad avere il controllo su qualche cosa, quando la vita sentimentale diventa incontrollabile. 

Fai la tua domanda ai nostri esperti 




















Source link

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here