Di recente, l’attore Filippo Timi – che interpreta Massimo Viviani, il sarcastico barista con l’indole del detective nella serie I delitti del BarLume – si è raccontato a cuore aperto in diverse interviste, rivelando di essere affetto da una patologia oculare rara, la malattia di Stargardt.
«Si tratta di una degenerazione maculare ereditaria, che a differenza di quella legata all’età colpisce soggetti giovani adulti nel pieno della loro vita professionale, personale e sociale», spiega la dottoressa Monica Schmid, responsabile dell’Unità operativa di Riabilitazione visiva presso l’IRCCS Maugeri di Pavia.
È stato l’oculista tedesco Karl Stargardt a descrivere per primo questa particolare condizione in alcuni pazienti, all’inizio del Novecento, per cui il nome della malattia richiama il suo scopritore.
Che cos’è la malattia di Stargardt
Tipicamente, la malattia di Stargardt è caratterizzata da un progressivo deterioramento della retina: l’area maculare, deputata alla visione distinta, viene occupata da materiale di scarto lipidico e proteico delle cellule retiniche, creando lesioni caratteristiche (simili a capocchie di spillo di colore bianco-giallo), dette drusen, che determinano una progressiva alterazione dei fotorecettori retinici e una conseguente difficoltà visiva ingravescente.
«Dopo aver condotto una vita assolutamente normale da bambini e adolescenti, questi pazienti si ritrovano a fare i conti con una perdita di acuità visiva a carattere progressivo, solitamente dai 20 anni in poi, anche se con una certa variabilità individuale», specifica l’esperta.
Quali sono i sintomi della malattia di Stargardt
Come tutte le maculopatie, la malattia di Stargardt provoca un’ipovisione centrale, cioè viene persa la capacità di vedere in modo dettagliato.
«La macula è l’area retinica deputata alla visione distinta, alla lettura dei caratteri più piccoli e alla percezione dei colori», descrive la dottoressa Schmid. «Per fortuna, la retina possiede dei recettori anche al di fuori di questa zona elettiva, per cui raramente la malattia di Stargardt porta alla cecità totale. Viene meno, però, la visione del particolare, per cui diventa impossibile leggere, scrivere, riconoscere i volti delle persone, eseguire lavori di precisione e, nelle forme più severe, usare un computer o un telefono».
Tutto questo comporta un’importante perdita di autonomia personale, se pensiamo che la visione centrale è necessaria continuamente nella vita quotidiana: serve a riconoscere i numeri degli autobus, a leggere i tabelloni degli arrivi e delle partenze nelle stazioni, ad apporre la propria firma su un documento, a leggere il cartellino di un prezzo, a cercare il numero civico di una via.
«Con il passare del tempo questa ipovisione progredisce, diventando sempre più grave e invalidante», ammette l’esperta.
Quali sono le cause della malattia di Stargardt
La malattia di Stargardt colpisce una persona ogni 8.000-10.000 ed è causata da mutazioni del gene ABCA4. Nella maggior parte dei casi, la patologia si trasmette con modalità autosomica recessiva: significa che entrambi i genitori devono essere portatori sani della mutazione, senza essere affetti dalla malattia e spesso senza saperlo, mentre ciascun figlio della coppia ha il 25 per cento di probabilità di ammalarsi.
Più raramente, invece, la malattia di Stargardt può trasmettersi con modalità autosomica dominante: in quest’ultimo caso, è sufficiente ereditare il gene mutato da un solo genitore per manifestare la malattia.
Come si diagnostica la malattia di Stargardt
È l’oculista l’unico specialista in grado di arrivare a una diagnosi certa, che può essere posta a seguito dell’esame del fondo oculare (esame che si svolge di routine durante una visita oculistica) e di un OCT, una sorta di TAC della retina che permette di acquisire in modo non invasivo immagini dettagliate del tessuto retinico.
«È poi fondamentale eseguire il test genetico per individuare la specifica mutazione del gene ABCA4», tiene a precisare la dottoressa Schmid, che raccomanda: «Una visita annuale presso l’oculista di fiducia è fondamentale per arrivare a una diagnosi precoce sia di questa maculopatia ereditaria sia di altri problemi visivi».
Come si tratta la malattia di Stargardt
Al momento, non esiste una cura risolutiva per la malattia di Stargardt. I ricercatori stanno lavorando a terapie geniche che puntano a correggere le mutazioni presenti alla base della patologia, ma al momento non c’è nulla di approvato.
«Nel frattempo, per bloccare la progressione del danno e stabilizzare il residuo visivo si sta studiando l’utilità della FotoBioModulazione, un trattamento emergente che viene usato nella degenerazione maculare secca legata all’età», riferisce la dottoressa Schmid.
«Consiste nello stimolare l’attività della retina attraverso l’utilizzo di luce LED pulsata, ma non si tratta ancora di un trattamento offerto in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, perché al momento non esiste un’evidenza scientifica robusta circa la sua reale efficacia. In ogni caso, la sua utilità è stata sperimentata anche su 45 pazienti con malattia di Stargardt, mostrando una stabilizzazione del deficit visivo».
Qualora il dato venisse confermato su una platea più ampia di persone, la FotoBioModulazione potrebbe diventare un’opzione utile.
In cosa consiste la riabilitazione
In assenza di cure, solo la riabilitazione visiva può garantire ai pazienti in fase avanzata di mantenere la loro autonomia. «Da un lato consiste nell’ottimizzare il residuo visivo, se presente, con training riabilitativi alla fissazione eccentrica che possono essere eseguiti presso strutture specializzate», spiega la dottoressa Schmid. «Dall’altro lato, serve a individuare gli ausili ottici o elettronici necessari per consentire al paziente di continuare a leggere e navigare su Internet, per esempio, e in generale di non isolarsi dal mondo. Reparti come quello dell’IRCCS Maugeri di Pavia sono in grado inoltre di aiutare il paziente con deficit visivo grave a mantenere la propria autonomia in ambito domestico, fornendo una riabilitazione mirata che si basa sull’acquisizione di strategie finalizzate allo svolgimento di attività di vita quotidiana».
Un altro argomento delicato è quello legato all’orientamento e alla mobilità, che possono essere recuperati con corsi specifici e con l’utilizzo del bastone di segnalazione. «Infine, non è da sottovalutare l’impatto emotivo della perdita della visione, per cui nell’approccio multidisciplinare non dovrebbe mancare la figura dello psicologo per supportare il paziente, aiutandolo ad accettare la minorazione visiva e motivandolo affinché non rinunci a una vita il più possibile autonoma e soddisfacente tramite la riabilitazione».
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