Malattia non diagnosticata del Congo: che cosa sappiamo

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Quella del Covid-19 è stata una drammatica esperienza globale, che ha lasciato strascichi importanti anche a livello psicologico: ansia, depressione, insonnia e immotivata tendenza all’allarmismo. Ecco perché la notizia di una “misteriosa” malattia che si sta diffondendo in Congo ha immediatamente destato preoccupazione un po’ ovunque.

«Non c’è alcun mistero: si tratta di una malattia non diagnosticata, nel senso che non è ancora stato isolato l’agente patogeno che la causa», commenta il dottor Stefano Merler, epidemiologo, direttore del Centro Health Emergencies della Fondazione Bruno Kessler di Trento. «Potrebbe trattarsi di Covid, influenza, malaria, tubercolosi, morbillo o di un’altra patologia nota oppure di un mix di infezioni».

Cosa sappiamo della malattia in Congo

In base ai dati riferiti dall’Organizzazione mondiale della sanità, sappiamo che la zona sanitaria di Panzi nella provincia di Kwango della Repubblica Democratica del Congo ha registrato poco più di 400 casi di una malattia non diagnosticata tra il 24 ottobre e il 5 dicembre 2024, tra cui sono stati segnalati 31 decessi.

«Si tratta di un’epidemia molto localizzata, che al momento non fa pensare a una possibile diffusione oltre quei confini», riflette l’esperto. «La maggior parte dei casi segnalati riguarda bambini, in particolare di età inferiore ai cinque anni, e quelli più gravi coinvolgono soggetti malnutriti».

In effetti, è bene contestualizzare il problema sanitario. Quell’area del mondo paga un prezzo elevatissimo alla povertà: la malnutrizione è estremamente diffusa e ci sono basse coperture vaccinali, quindi non possiamo escludere che questi aspetti incidano sul bollettino sanitario delle ultime settimane.

Quali sono i sintomi della malattia in Congo

La sintomatologia ricorda quella di una comune influenza, perché include febbre, mal di testa, tosse, raffreddore e dolori muscolari.

Tra l’altro, è stato segnalato un caso sospetto a Lucca, dove un paziente – ricoverato all’Ospedale San Luca, già dimesso e guarito – presentava proprio queste manifestazioni cliniche: l’uomo, un cinquantenne che lavora in Congo a circa 700 chilometri dalla zona di Panzi, era rientrato in Italia con questi sintomi e, per precauzione, è stato sottoposto a un prelievo di sangue, in modo che il campione possa essere analizzato dall’Istituto Superiore di Sanità per stringere il cerchio sull’agente patogeno.

«Al momento non c’è alcun presupposto per ipotizzare nuove pandemie alle porte», assicura il dottor Merler.

In corso gli accertamenti

Cosa ritarda una diagnosi certa? L’Organizzazione mondiale della sanità ha spiegato che l’area di Panzi è rurale e remota, con un accesso ulteriormente ostacolato dalla stagione delle piogge in corso. Raggiungerla da Kinshasa su strada richiede circa 48 ore.

Tutti questi elementi hanno contribuito al ritardo nell’identificazione della causa sottostante, ma sono comunque in corso test di laboratorio per determinare la causa esatta del focolaio.

«Nel frattempo, in Italia, valgono le comuni regole del buonsenso: non cadiamo vittime dell’allarmismo, ma se al ritorno da un Paese a rischio accusiamo qualche malessere contattiamo il medico curante o il pronto soccorso, riferendo dell’avvenuto viaggio, affinché si possano tempestivamente effettuare i test diagnostici del caso», conclude l’epidemiologo.

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