Le chiamano rare, perché colpiscono gruppi ristretti di persone e, rispetto ai big killer della salute, dai problemi cardiaci ai tumori, il paragone statistico regge.
«La terminologia medica ed epidemiologica è corretta, ma sul “raro” come accezione generale non sono d’accordo. Intanto perché le patologie di questo tipo sono tante e se ne scoprono e diagnosticano sempre di più. Poi, perché spesso i sintomi sono talmente simili a quelli di molte altre affezioni da portare a seri problemi di diagnosi precoce», osserva il professor Paolo Gasparini, presidente della Società italiana di genetica umana (SIGU), docente di genetica all’Università di Trieste e direttore della Genetica medica dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste.
E poi come dire a quei “pochi” che soffrono per esempio di Atrofia Muscolare Spinale che se il loro bambino (quanti piccoli e giovani vittime della rarità!) avesse donato una sola goccia di sangue dal suo tallone alla nascita ora sarebbe sano e lo rimarrebbe per gli anni a venire? Già perché per fortuna, nella sfortuna di avere una malattia che pochi hanno, è realtà il progresso degli studi genetici che producono poi, grazie alla ricerca farmaceutica, cure formidabili.
Guarire si può
«L’acquisizione di tecnologie sempre più sofisticate come l’analisi del genoma, ha portato alla consapevolezza di tutti che queste malattie ricorrono con una certa frequenza. Nel campo della diagnosi poi, il sequenziamento dell’intero genoma a costi abbordabili, ha reso individuabili molte di queste patologie anche in tempi molto precoci. Dall’altra parte sono cresciute pure le terapie, diventando sempre più efficaci. Come la terapia genica, quella cellulare o il drug repurposing (riposizionamento di farmaci) che hanno portato a curare molte malattie come l’Atrofia Muscolare Spinale», spiega l’esperto.
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- Atrofia Muscolare Spinale (SMA)
Li chiamano bambini morbidi perché, come delle bambole di pezza, non riescono neanche a stare seduti autonomamente. Oppure i più grandicelli non ce la fanno a camminare o perdono questa capacità nel tempo. Ecco, questo possiamo osservare in quella che viene chiamata Atrofia Muscolare Spinale.
«Si tratta di una malattia neuromuscolare cronica degenerativa che parte da un difetto genetico», spiega Emilio Albamonte, neuropsichiatra infantile presso il Centro Clinico Nemo di Milano. «Il gene difettoso in questione produce una proteina che protegge i motoneuroni, le cellule deputate all’innervazione dei muscoli. Se non vengono protette degenerano portando a un deficit di forza nel bambino. Il quadro clinico varia in base all’età di esordio dei sintomi e la loro entità e possono essere colpiti anche gli adulti con problemi motori».
Diagnosi al primo pianto
«Un pianto flebile, l’ipotono e una riduzione dei movimenti spontanei tipici dei neonati sono i sintomi che devono insospettire i medici da subito. Ma anche un pediatra che vede un bimbo nei primi mesi che non tiene la testa dritta o non raggiunge regolarmente le altre tappe motorie deve farsi delle domande e inviare il piccolo allo specialista giusto, cioè al neuropsichiatra infantile», spiega Albamonte.
Dal tallone d’Achille al miglioramento
Se ci sono sospetti basta il prelievo di sangue per avere la conferma o meno della SMA. «È importante per l’immediata presa in carico multidisciplinare del piccolo paziente, inoltre oggi abbiamo a disposizione diversi farmaci specifici ma per ciascuno di questi vale però la regola che quanto prima vengono somministrati, maggiori sono le possibilità di miglioramento», spiega lo specialista.
«I risultati sono stati straordinari in quei bambini trattati prima dell’esordio dei sintomi, e questo si è potuto fare grazie allo screening neonatale con un prelievo di sangue dal tallone che dà una diagnosi immediata nei primi giorni di vita». In questi casi il bambino trattato potrà avere uno sviluppo motorio molto simile a quello di un coetaneo sano: potrà camminare, correre e saltare come tutti gli altri. «Abbiamo tre farmaci validi a disposizione», conclude l’esperto.
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- Malattie autoinfiammatorie
Ecco un gruppo di malattie rare accomunate da un tipo di infiammazione sistemica che “parte da sola”. «L’infiammazione rientra nella nostra risposta normale a un attacco, è il nostro sistema di difesa», spiega il professor Fabrizio De Benedetti, pediatra responsabile della reumatologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
«Di fronte a un’infezione virale ci viene la febbre, appaiono i dolori muscolari, la stanchezza, va via l’appetito e, facendo gli esami del sangue si vede l’aumento di alcune proteine dell’infiammazione e dei globuli bianchi. Con una malattia autoinfiammatoria abbiamo gli stessi sintomi di un’infezione normale ma l’infezione non c’è, il sistema ha fatto tutto “da solo”. Alcune di queste malattie sono genetiche, cioè scatenate da mutazioni di geni coinvolti nel controllo e nell’innesco dell’infiammazione».
Tante febbri ma ricorrenti
In questo gruppo di malattie autoinfiammatorie rare c’è la Febbre Familiare Mediterranea (FMF), che è la più antica, diffusa e conosciuta. «Ogni 2-3 settimane i pazienti che ne soffrono hanno un episodio febbrile che tocca anche i 40 gradi di temperatura, che dura 2-3 giorni ed è accompagnato da dolori addominali, toracici, eruzioni cutanee e artrite, e questa della febbre è una caratteristica comune a tutte (o quasi) le malattie autoinfiammatorie», spiega l’esperto.
«Per noi pediatri sono abbastanza facili da distinguere: gli episodi febbrili sono appunto sempre uguali fra di loro e a cadenza periodica, sono ricorrenti. Le mamme dicono: la febbre di mio figlio è sempre la stessa; ecco, in questi casi va approfondita con l’anamnesi, gli esami del sangue quando il paziente sta bene (si vede comunque l’infiammazione “accesa”) e poi i test genetici».
Si parla di pediatri perché queste malattie colpiscono di più i bambini ma possono esordire anche in età adulta, con gli stessi sintomi. «Non c’è urgenza nella diagnosi, non succede nulla se non si interviene subito, ma la qualità di vita è certamente diminuita: avere febbre elevata per diversi giorni al mese con dolori acuti ha conseguenze importanti sulle attività della vita», precisa De Benedetti.
Come si spengono
La buona notizia è che questi incendi del nostro organismo si riescono a spegnere quasi in tutti i casi. «Un gruppo di malattie è legato alla produzione di una specifica molecola, la citochina infiammatoria interleuchina 1, e per fortuna abbiamo farmaci molto efficaci in questo campo», spiega l’esperto.
«Sono farmaci a target, che inibiscono solo questa citochina e fanno star bene il paziente, ma vanno presi a vita perché la malattia è genetica e per ora non “riparabile” a livello di DNA (si stanno studiando però nuove terapie geniche). Oppure, in altri casi, anche se non si sa la causa genetica, le terapie a target funzionano lo stesso, non sappiamo perché ma è un fatto. L’importante è il risultato, per ora».
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- Distrofie retiniche ereditarie
Le distrofie retiniche ereditarie comprendono molte forme, fra cui la Amaurosi Congenita di Leber e la Retinite Pigmentosa. «Sono malattie che si manifestano nell’infanzia o in alcuni casi già alla nascita», spiega Francesca Simonelli, professore ordinario di oftalmologia e direttrice della Clinica Oculistica dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. «La prima forma è particolarmente grave, la seconda, più gestibile ma in ogni caso se non diagnosticate precocemente portano a grave ipovisione o cecità».
Notti troppo buie
I piccoli che soffrono di tali malattie hanno inizialmente difficoltà visive in condizioni di scarsa luce. «Di notte, ma anche all’imbrunire, non vedono bene», spiega l’esperta. «I neonati affetti dalla forma più grave di malattia, l’Amaurosi Congenita di Leber, presentano già alla nascita o nei primi mesi di vita movimenti a scosse degli occhi (nistagmo), fissazione costante di fonti luminose e frequente pressione degli occhi con le mani».
Scale pericolose
«I bambini che presentano la forma meno severa, la Retinite Pigmentosa, già intorno ai 3-4 anni, manifestano difficoltà nella visione notturna e restringimento del campo visivo con una visione talvolta ristretta al punto che per loro è come guardare il mondo dal buco della serratura», spiega Simonelli. «Infatti non vedono lateralmente e ciò comporta grandi difficoltà, per esempio a scendere le scale, a muoversi in spazi ristretti, difficoltà che si accentuano ulteriormente quando poi si trovano in condizioni di scarsa luce».
Una sola cura (per ora)
Per le distrofie retiniche ereditarie, oggi esiste solo una terapia genica approvata, indicata per le forme legate alle mutazioni del gene RPE65. «La terapia in tali forme è davvero risolutiva se somministrata precocemente: per tale ragione diventa cruciale una diagnosi precoce di tali malattie sia dal punto di vista clinico che genetico, ma purtroppo dai nostri studi emerge che un bambino riceve in media 8/9 differenti visite oculistiche prima di avere la giusta diagnosi. Per questo siamo impegnati nello svolgimento di numerosi corsi di formazione e divulgazione in particolare con i pediatri, per sensibilizzare sul tema della precoce individuazione della malattia. È necessario rivolgersi a centri specializzati nella diagnosi e cura delle distrofie retiniche ereditarie perché molto spesso non bastano gli esami oftalmologici di routine per una corretta diagnosi ma occorrono esami più specifici e approfonditi includenti anche il test genetico, per individuare le forme legate a mutazione del gene RPE65, per le quali esiste una terapia».
E per le forme legate alle mutazioni in altri geni? «Per molte altre forme sono attualmente in atto delle sperimentazioni cliniche in fase avanzata i cui risultati preliminari fanno ben sperare in una cura nei prossimi anni», conclude la professoressa Francesca Simonelli.
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Le associazioni, un aiuto importante
Sono cresciute tantissimo. E aiutano molto. «Soprattutto le famiglie dei pazienti», spiega Paolo Gasparini. «Per molte coppie sapere di potersi relazionare con altri genitori con lo stesso problema è rincuorante oltre che utile. Le associazioni promuovono anche attività di ricerca e in campo politico, perché vengano riconosciute dal Sistema sanitario nuove terapie, esenzioni, certi tipi di riabilitazione».
«Associazioni come Famiglie SMA (famigliesma.org) e ASAMSI (asamsi.org) che si occupano di Atrofia Muscolare Spinale facilitano anche il lavoro dei medici fornendo notizie importanti, sia dal punto di vista scientifico ma anche questioni più pratiche utili ad affrontare le problematiche della vita quotidiana», aggiunge Emilio Albamonte. «Il punto di vista del paziente è fondamentale, perché è lui che “decide” se una terapia funziona o non funziona», conclude Fabrizio De Benedetti. «Con le Associazioni abbiamo creato per esempio una app che è una sorta di diario online per informare in tempo reale il medico curante».
Esiste infine un Osservatorio Malattie Rare (osservatoriomalattierare.it), la prima agenzia dedicata alle malattie e ai tumori rari e ai farmaci orfani, che mette a disposizione di tutti info e servizi.