Maschilismo, donne e femminicidio | Corriere dell’Irpinia

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Il femminicidio in Italia è un fenomeno dilagante quanto preoccupante, in forma anche più grave rispetto al contesto mondiale. Nel 2021 sono state 295 le donne uccise, vittime per lo più della violenza omicida maschile in ambito familiare e di rado extraconiugale (marito, fidanzato, convivente, amante). L’incremento degli omicidi rispetto al 2020 è stato 3% (pari a circa 20 donne in più assassinate). Di più e peggio: il marito o il convivente scatena con crescente frequenza la sua follia omicida non solo su sua moglie o la sua compagna ma su tutta la sua famiglia, dando la più aberrante espressione all’idea che la donna che lo vuol lasciare, non più donna-madre e moglie esemplare (secondo lo stereotipo dell’angelo del focolare), faccia venir meno le ragion dell’esistenza in vita dei componenti della sua famiglia. Emblematica quanto orrenda la recente tragedia di Varese.

Ciò che accade segnala una drammatica, anzi tragica crisi  dell’ethos familiare e dei suoi valori e sentimenti fondativi. Quali le cause?. La risposta richiederebbe un discorso  di carattere filosofico-storico-socio-psicologico, ma si può forse dire in breve anche così. Al riguardo, Hegel afferma che la spiritualità come eticità s’incarna innanzitutto nella famiglia come sentimento che lega i suoi componenti (amore coniugale e per i figli e dei figli per i  genitori). Nella famiglia, sempre per Hegel,  è dominante  la consanguineità, strettamente connessa al culto dei propri defunti, ovvero  quel “diritto delle ombre”, di cui la donna è custode. L’eticità,invece, di cui è simbolo l’uomo è quella dello Stato, con le sue norme universali (la “legge del giorno”). Su queste  fondamenta culturali aggravate  però dal predominio totalizzante  del maschio sulla femmina, che vanno sotto il nome di maschilismo e patriarcalismo, si è retta la società umana, compresa quella occidentale.  Teologi e filosofi, per lo più impotenti o omosessuali, hanno costruito una volgare e falsa ideologia dell’inferiorità della donna, delle sua sfrenata, diabolica sensualità (“ianua diaboli”, porta del diavolo),

Quando, dal Seicento in poi, alla  società agricola succede quella industriale, il capitalista fa uscire le donne povere,  da quella vera e propria prigione che è la casa  per sfruttarle, insieme ai bambini,  nelle fabbriche e dare loro paghe da fame. Ma, non più rinchiuse e isolate in famiglia, le donne prendono coscienza dei loro diritti e cominciano a rivendicarli, diritto di voto compreso. Inizia la Rivoluzione femminile, che è ancora in corso. Accade così che, specie nel nostro secolo le donne appaiono emancipate, mentre gli uomini lo sono solo all’apparenza, ancorati di fatto a quello che Derrida chiama il “fallologocentirsmo”, che nel codice penale fascista puniva solo il tradimento della moglie e quasi assolveva il cosiddetto “delitto d’onore”. Se si può dire così, i femminicidi nascono da un grave scompenso discorsivo:  oggi le donne parlano un linguaggio civile e di libertà; gli uomini un linguaggio incivile fino al tribalismo, ancorato all’idea del maschio padrone

Che fare? In primo luogo, è urgente che sia approvata dal parlamento una legge per cui il  feminicidio venga punito con l’ergastolo, inasprendo le pene per le altre forme di violenza sulle donne. In secondo luogo, negli otto ani anni della scuola dell’obbligo, l’educazione civica deve avere come principale argomento la “questione femminile”. In terzo luogo le femministe debbono coinvolgere gli uomini nel loro dibattito e nella loro lotta. Sono gli uomini che uccidono le donne.

di Luigi Anzalone



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