Nel nostro viaggio nel quale stiamo ripercorrendo il viale dei ricordi tramite la definizione di un quintetto base storico della Scandone, troviamo giusto rivivere le emozioni di questi 19 anni in A1 anche attraverso le parole di chi ha avuto un ruolo attivo nell’approdo biancoverde in massima serie.
Uno dei primi idoli del Del Mauro, è sicuramente stato Sergio Mastroianni, playmaker della Scandone dalla stagione 98/99 e protagonista della promozione in A1 prima e della stagione inaugurale poi.
Lei è stato, insieme a Sidney Johnson, il primo play della Scandone in massima serie, ma è anche stato protagonista durante la promozione. Che ricordi ha dei primi anni ad Avellino?
“I tre anni alla Scandone sono stati molto diversi tra di loro. Nel primo anno fu tutto molto difficile, con la squadra che rischiò davvero di retrocedere. I tifosi non ci hanno mai fatto mancare il loro apporto, anche se personalmente posso dire di non essere stato molto amato a causa dell’episodio spiacevole della monetina dell’anno precedente. Il secondo anno, invece, ci fu una vera e propria esplosione. Quello è tra i ricordi più belli della mia vita cestistica. Quando una squadra viene costruita per vincere o essere promossa, quando raggiunge l’obiettivo è come se avesse semplicemente fatto il suo modesto compito di aver realizzato il progetto costruito in estate. Noi invece eravamo indicati da tutti come una delle squadre in lotta per non retrocedere. Con il lavoro in campo, fatto di ore spese sul parquet, e il sapiente apporto di dirigenza e staff tecnico, ribaltammo il pronostico. Eravamo un mix di giocatori anziani e giovani e tutti ci impegnammo allo stesso modo. Per me quell’anno è indimenticabile”.
Come è invece cambiato il panorama nel primo anno di serie A1?
“Quando arrivammo in A1 ci fu un’esplosione di amore per il basket in tutta l’Irpinia. In Campania non c’erano altre squadre nella stessa lega e noi diventammo l’espressione della pallacanestro in tutta la Campania ma anche nel meridione in generale. Ricordo la corsa ai biglietti e agli abbonamenti. Vennero a giocare squadre fortissime, che avevano un livello molto alto anche rispetto a quello di oggi, come le due Bologna, che avevano Ginobili e Rigaudeau da una parte e Myers, Basile, Galanda e Fucka dall’altra. Ma anche Treviso e Milano, seppure in quel periodo non fosse tra le migliori del campionato. Erano squadre che erano protagoniste anche in Europa e riceverle ad Avellino è stato un onore. Io da playmaker mi sentivo di rappresentare un po’ la squadra davanti a questi mostri sacri e questo mi riempiva d’orgoglio”
Oggi il basket è molto cambiato, specialmente il ruolo del playmaker, sempre più assimilabile a quello delle classiche point guard americane. Lei come ha interpretato questo ruolo nelle sue esperienze?
“Prima di me, quindi molti anni fa, il playmaker era un giocatore che tirava massimo due volte a partita e per lo più passava il pallone. Ricordo ad esempio di Ossola, che in pratica non tirava mai, solo per citare un giocatore di quei tempi. Poi la situazione è cambiata e ai play sono state affidate più iniziative, sia al tiro che in penetrazione. Ora, invece, non vedo molti play puri, come magari potevo essere considerato io, ma più giocatori che sono guardie ma vengono impostati come play. Gli allenatori, secondo me, vogliono giocatori di stazza maggiore in quel ruolo. Ciò non toglie che i giocatori di 1 e 80, come ero io, se sa giocare troverà sempre spazio, anche nel nuovo millennio. Il ruolo è cambiato, ma se il giocatore è forte, a prescindere da altezza, peso e tono muscolare, starà sicuramente in campo”
Oggi, con la pandemia che ha immobilizzato tutto il movimento sportivo, in Italia si sta pensando a delle riforme. Lei cosa proporrebbe per tornare ai fasti di cui parlava prima?
“Il basket ha vissuto negli ultimi anni momenti non bellissimi. Secondo me questa crisi è stata dovuta ad una politica che non condivido da parte della Fip: hanno cercato di imporre troppe piazze quando nella pallacanestro italiane così tante piazze non ci sono. Questo ha comportato un abbassamento del livello di tutte le categorie, anche dovuto al fatto che non c’è un numero di giocatori abbastanza elevato per sostenere tutte queste squadre. Dal prossimo anno, in un contesto di crisi accentuato dalla situazione globale ed economica, ci sarà l’occasione di ridurre il numero di squadre, specialmente in A2 e in B. Questo porterebbe ad un innalzamento del livello. Detto questo credo che la FIP possa muoversi anche sul fronte che riguarda il numero di stranieri. In questi anni ho visto tanti stranieri anche in C gold e C silver, il che mi sembra una follia. Bisogna abbattere il numero di stranieri nelle leghe dalla A2 a scendere, magari mantenendo solo due stranieri in A2, comprendendo anche i passaportati tra questi, ed eliminarli completamente in C. Questi campionati potrebbero diventare una fucina per i nuovi talenti che arriverebbero poi pronti a giocarsi le proprie carte in massima serie. Credo sia assurdo vedere anche dei settori giovanili pieni di stranieri che tolgono spazio ai talenti locali, specialmente perché dopo un paio di anni spariscono dal radar”.
Infine, da volto storico della Scandone, cosa ne pensa delle vicende della scorsa estate che hanno portato alla doppia auto-retrocessione?
“Da quello che ho letto, questo ci tengo a precisarlo, ho capito che l’errore è stato quello di aumentare a dismisura la propria esposizione debitoria. Le società di basket sono soggette a controlli da parte della Com.Tec. e quindi sono passibili di esclusione se non rispettano i parametri. Mi sembra una cosa molto semplice. Ricordo che successe lo stesso per la Reyer Venezia qualche anno dopo il mio passaggio lì, ed è sempre molto triste quando accade. Credo che l’operazione di tenere in vita la Scandone sia stata fatta in attesa di creare un’altra società a cui attribuire la massa debitoria pregressa, così da ripartire con una nuova società immacolata. Io non so se le regole federali e soprattutto il diritto civile consentano questo. In caso contrario devo dedurre che sia stato fatto per tenere vivo l’ardore della piazza, almeno dei più affezionati. I debiti, però, quando ci sono, prima o poi vanno pagati. Tutte le politiche finanziarie diventano inutili ad un certo punto. Io confido che nei prossimi mesi possa nascere qualcosa e di poter venire qualche volta la domenica a vedere qualche gara della Scandone in serie A”