Sul campo sembra impermeabile a qualsiasi difficoltà, eppure Matteo Berrettini ha subito e sofferto insulti di ogni genere sui social. Perché una cosa è il tifo e la mania tutta italiana di trasformarsi in esperti di ogni sport, un’altra è quella che si chiama cyberbullismo. Lui lo sa, lo ha provato sulla sua pelle e oggi è un testimonial del progetto Spalla a Spalla Head&Shoulders di Procter & Gamble: una campagna nazionale e in 20 istituti scolastici italiani per sensibilizzare gli italiani sul tema.
Perché hai scelto di diventare testimonial della campagna?
Sono davvero orgoglioso di rappresentare questo progetto perché mi permette di dare il mio contributo alla lotta al bullismo e al cyberbullismo. Fenomeni come questi non dovrebbero nemmeno esistere, e invece colpiscono tanti, senza fare alcun tipo di distinzione: i dati sono allarmanti e non possono essere ignorati. Anche noi sportivi possiamo essere vittime di bullismo, in particolare sotto forma di cyberbullismo, e non si può immaginare quanto siano brutti i commenti dei follower dopo una sconfitta, e quanto possano ferire.
Come ti definiresti caratterialmente?
Da bambino e in fase adolescenziale ero sicuramente più introverso e timido. Devo dire che lo sport e la mia carriera in generale mi hanno aiutato molto sotto questo punto di vista. Ora mi reputo una persona socievole, solare e che sa ascoltare.
Ti emozioni facilmente?
Le emozioni fanno parte della mia vita, sono un motore fondamentale per la mia carriera e per la mia sfera privata. Ci sono alcune volte in cui mi lascio trasportare dal loro flusso, in altre occasioni sono costretto a controllarle per evitare che prendano il sopravvento, soprattutto sul campo da tennis.
Come ti sentivi quando hai ricevuto i primi insulti?
Tutto è iniziato a 17 anni. Quando, crescendo sportivamente, si comincia a confrontarsi con più persone e non più solo con la tua famiglia e i tuoi amici, è normale trovare lungo il proprio percorso qualche “hater”. All’inizio mi sentivo sopraffatto e non riuscivo neanche a darmi una spiegazione del perché individui a me sconosciuti potessero dire determinate cose. Non si può immaginare quanto possano essere brutti i commenti dei fan dopo una sconfitta, e quanto possano mortificare chi ogni giorno dà il massimo in ogni partita. All’inizio ci rimanevo molto male, ma poi con il mio coach e il mio team ci abbiamo lavorato, e ho imparato a farmi scivolare addosso certi commenti.
Incideva sulla tua performance? E sul carattere, i rapporti con gli altri?
Non avevo le spalle larghe come le ho adesso e non riuscivo ancora a non badare ai commenti negativi. Questo mi ha portato inizialmente a chiudermi molto in me stesso, prima di arrivare alla consapevolezza che il mondo è pieno di persone che sono pronte a giudicarti. L’importante è però non farsi abbattere, andando avanti con caparbietà, anche cercando l’aiuto di chi ci vuol bene, se pensiamo di non farcela da soli.
Hai mai avuto a che fare con bulli in carne e ossa?
No, fortunatamente non ho mai incontrato bulli “reali”. Però subisco tutt’ora atti di cyberbullismo: mi accade spesso di essere colpito da ondate di odio e commenti terribili postati sui miei profili social personali, ogni volta che non performo come i miei followers vorrebbero. I social sono diventati ormai il canale più diffuso per esprimere il proprio pensiero, ma spesso chi li usa lo fa in maniera inappropriata, ledendo il rispetto e la dignità altrui.
Si può superare il bullismo da soli, con le proprie forze?
Credo che chiedere aiuto sia importantissimo. Non bisogna avere paura né vergognarsi di farsi aiutare, anzi è una delle più grandi dimostrazioni di coraggio. Io personalmente ho imparato con il tempo, e soprattutto con l’aiuto della mia famiglia, del mio coach e di tutte le persone che mi erano vicine, a prendere le distanze da questi atti di cyberbullismo.
Hai parlato di “tempo per digerire certe cose”…
Qualsiasi tipo di esperienza, dalla più grande alla più piccola, sia nella vita privata che nello sport, ha i suoi tempi per essere “digerita”. Ci sono state ad esempio sconfitte, durante il mio percorso, che ci hanno messo molto tempo per essere archiviate. Da tutte le esperienze però è importante imparare qualcosa: ci sono situazioni che sembrano impossibili da digerire, ma sono proprio quelle da cui si impara di più.
Chi ti ha aiutato?
Lo sport mi ha dato da sempre un grande aiuto, ma devo dire grazie soprattutto alla mia famiglia: a mia mamma, mio papà, Jacopo mio fratello, i miei nonni e il mio gruppo di amici. Sono loro le persone che mi aiutano a superare i momenti più difficili, ma sono anche le persone con cui da sempre ho condiviso i ricordi più belli, le mie vittorie, le mie esperienze, la mia vita quotidiana.
Hai dei trucchi per concentrarti e bypassare le cose che vanno male?
Non ho dei “trucchi”: provo a pensare a cosa posso fare per migliorare quel momento, cercando di parlarne con le persone a me care e con il mio team. Quando sono in viaggio (e mi capita spesso), per rilassarmi guardo una serie tv, ascolto la musica o faccio qualche video-chiamata con i miei amici e la mia famiglia. Sono queste le cose che mi aiutano a rilassarmi e a farmi sentire meno la distanza.
Cosa pensi di questa connessione perpetua di tanti di noi ai social, ai telefoni?
I social sono sicuramente uno strumento interessante, che ci aiuta a rimanere connessi con il mondo. Nel mio lavoro i social occupano una parte della mia vita. Cerco però di dargli il giusto peso e di dedicargli poco tempo.
Adesso se ricevi un insulto cosa fai?
Dopo un lungo percorso sono arrivato alla consapevolezza che l’indifferenza sia in questi casi la miglior arma.
Cosa pensi della psicoterapia o del mental coaching in questo campo?
Sono importantissimi, direi fondamentali. Con il mio mental coach, da sempre lavoriamo su tante situazioni, e questo mi ha aiutato tanto.
Che consigli daresti ai giovani oggetto di cyberbullismo?
Vorrei dire loro che anche nelle piccole sfide di tutti i giorni è importante essere determinati e credere in se stessi, cercando di combattere pregiudizi e difficoltà. Non bisogna farsi abbattere dai commenti cattivi degli altri, ma andare avanti con caparbietà. La chiave per uscire dalla spirale del bullismo è non rimanere soli e farsi aiutare, perché solo insieme, “spalla a spalla”, è possibile uscirne.
Spalla a spalla contro i bulli
Un ragazzo su tre in Italia viene bullizzato. Da questo dato è partito il brand di P&G Head&Shoulders che, con uno studio internazionale sull’impatto psicologico della forfora negli adolescenti, ha messo in luce che chi ne soffre ha il doppio delle probabilità di essere vittima di un bullo. Così è nato il progetto Spalla a Spalla: «Che si rivolge a tutti gli interessati ad approfondire il tema», spiega Valeria Consorte, Vice President Beauty Care P&G Italia. «In particolare segnalo lo speciale percorso in collaborazione con FARE X BENE (associazione che tutela i diritti della persona e delle categorie sociali più deboli e soggette a discriminazioni – ndr) rivolto agli studenti di alcune Scuole Secondarie di 2° grado e ai loro insegnanti e genitori, che si svolge all’interno dell’ambiente scolastico e ha l’obiettivo di educare, prevenire e contrastare ogni tipo di fenomeno legato al bullismo e al cyberbullismo». Su headandshoulders.it/ it-it/spalla-a-spalla/ trovi tutti i dettagli dell’iniziativa e i materiali educativi da scaricare gratis.
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