Si chiamano onde d’urto e rappresentano oggi una delle terapia fisiche più gettonate nel campo della riabilitazione ortopedica e fisiatrica. Al punto da superare, come numero di prescrizioni annue, le vecchie Tens e le sedute di ultrasuoni. Impiegate soprattutto per la cura di tendiniti e microcalcificazioni, riescono in molti casi a evitare lo spauracchio dell’intervento chirurgico e si pongono come un’opzione terapeutica per il trattamento dei traumi sportivi o dei postumi di un intervento stesso. Come agiscono? E per quali patologie dell’apparato muscolo-scheletrico sono più indicate?
Onde acustiche alla massima potenza
«Le onde d’urto sono onde acustiche, cioè impulsi sonori di natura meccanica, generati da un particolare apparecchio chiamato litotritore», spiega il dottor Stefano Sabatini, fisiatra e specialista in medicina dello sport presso il Centro Italiano Postura di Milano.
«Introdotte a metà degli anni ’90 come procedura mininvasiva per disgregare i calcoli renali dall’esterno, senza bisturi e incisioni, sono state via via convertite a diversi utilizzi, per via degli effetti biologici che esercitano sui tessuti-bersaglio. A differenza degli ultrasuoni, presentano una particolare forma d’onda, caratterizzata da un’alternanza di pressione positiva e negativa che conferisce loro una grande energia».
Grazie a questa carica energetica, che si trasmette rapidamente ai tessuti irradiati, le onde d’urto esplicano diverse azioni: contrastando la degenerazione tissutale, hanno un effetto antinfiammatorio, antidolorifico e antiedemigeno (riducono, cioè, il gonfiore) e spesso riescono a frantumare le microcalcificazione di tendini, legamenti e articolazioni che comportano dolore, rigidità e limitazione funzionale della parte colpita, come il gomito o la spalla.
L’importante è riuscire ad affidarsi a un bravo ortopedico o fisiatra in grado di fare un corretto inquadramento diagnostico e di suggerire il tipo di onda d’urto più indicata per risolvere la specifica problematica. Sì, perché le onde d’urto non sono tutte uguali, ma si suddividono in due grandi categorie: quelle radiali e quelle focali.
Le onde d’urto radiali: effetti e applicazioni
«Le onde d’urto radiali possono essere definite un fascio ultrasonico divergente», spiega ancora il dottor Stefano Sabatini. Non sono direzionate su un unico punto ma si irradiano su tutta la superficie trattata. È un po’ come lanciare un sasso nello stagno: dall’onda centrale si generano tante onde concentriche che arrivano a lambire anche le aree circostanti, che non versano in uno stato di sofferenza.
Vengono emesse da uno speciale manipolo a forma di pistola. All’interno della canna, un proiettile di acciaio viene lanciato, mediante aria compressa a 4-5 bar di pressione, contro un trasduttore metallico posto come tappo della pistola. Grazie alla collisione del proiettile che, attenzione, non colpisce la pelle ma resta interno alla “pistola”, si genera un’onda d’urto che dal tappo metallico si diffonde radialmente nella zona trattata. L’onda d’urto radiale ha un’energia compresa tra i 50 mJ/mm2 e i 200 mJ/mm2 (milliJoule per millimetro quadrato) e una frequenza molto variabile, da 1 Hz a 25 Hz, con una profondità di azione fino ai 25 millimetri».
Grazie alla loro capacità di penetrazione, le onde d’urto radiali hanno un campo di applicazione molto vasto. Sono infatti indicate per il trattamento delle tendiniti croniche, come l’epicondilite (il cosiddetto “gomito del tennista”), l’entesite rotulea (l’infiammazione dei tendini appena sotto il ginocchio) o achillea (infiammazione del tendine di Achille).
Si rivelano un alleato prezioso anche nel trattamento di molte altre affezioni: ulcere cutanee, spasticità muscolare, fascite plantare, mancato o ritardato consolidamento di una frattura ossea, stadio iniziale delle cosiddette osteocrondriti disseccanti, sindromi miofasciali dolorose nonché lesioni muscolari di basso grado (le cosiddette distrazioni) dove non si rilevi la rotture delle fibre.
«In tutti questi casi le onde d’urto radiali, con la loro energia meccanica, esercitano una biostimolazione molto efficace», prosegue il dottor Sabatini. «Favoriscono sia la produzione di sostanze antinfiammatorie sia la neoformazione di vasi sanguigni, dando un colpo di acceleratore ai fisiologici processi di riparazione, anche grazie alle cellule staminali e ai fattori di crescita che rigenerano i tessuti danneggiati».
Le onde d’urto focali: quando prescriverle?
Le onde d’urto focali concentrano e fanno convergere l’energia in unico punto, la zona da trattare, evitando che si disperda nelle zone limitrofe. Rispetto a quelle radiali, hanno una potenza e una profondità maggiore.
«I litotritori di ultima generazione utilizzano, per produrle, un generatore piezoelettrico simile a quello delle sonde ecografiche», prosegue l’esperto. «In pratica, nel manipolo sono nascosti dei piccoli cristalli piezoelettrici immersi nell’acqua che, subendo delle contrazioni ed espansioni del proprio volume, provocano delle onde pressorie. Vi sono, però, anche dei generatori di onde d’urto focali di tipo elettroidraulico o elettromagnetico. L’onda generata ha un’energia compresa tra 0,01 mJ/mm2 e 0,55 mJ/mm2, con un’azione focalizzata che può penetrare nel tessuto fino a 65 mm di profondità».
Secondo le linee guida della SITOD (Società Italiana Terapia con Onde d’Urto), il principale campo di applicazione di quelle focali sono le microcalcificazioni. Tra queste, spiccano le tendinopatie calcifiche, come quella della spalla, la più frequente, che è caratterizzata dall’accumulo di depositi di calcio nei tendini della cuffia dei rotatori. Ma la tendinite calcifica, e la relativa presenza di depositi di sali di calcio, può interessare anche i tendini del gomito o del ginocchio.
«La terapia con onde d’urto focali è, infine, il gold standard per la cura della spina calcaneare, la formazione di un osteofita (cioè di un’eccedenza ossea) localizzata a livello del calcagno», puntualizza il dottor Sabatini. «Si tratta di una specie di sperone, simile alla spina di una rosa, che si forma in seguito a processi irritativi di carattere cronico. Molto dolorosa, al punto da impedire la deambulazione, la spina calcaneare si sgretola in genere in sole tre sedute di onde d’urto focali».
Controindicazioni ed effetti indesiderati
Ben tollerate e scarsamente invasive, le onde d’urto sono controindicate durante la gravidanza e l’allattamento, in caso di infezione o lesioni sospette nella zona da trattare, nei portatori di pacemaker, in chi ha un tumore o presenta difetti di coagulazione del sangue.
Infine, non vanno direzionate contro i polmoni o nelle aree percorse da grandi nervi. «In genere non comportano effetti collaterali di rilievo», puntualizza Sabatini. «In rari casi si può apprezzare la comparsa di arrossamento o di piccoli ematomi nell’area trattata, come pure il risveglio della sintomatologia dolorosa nei giorni successivi alla seduta. Fatto che va interpretato in maniera positiva, come segno della riattivazione dei processi riparativi».
Il protocollo da seguire
Come terapia d’attacco, in genere si prescrivono tre sedute (una alla settimana) con le onde d’urto, durante la quale vengono erogati 2500 impulsi, separati tra loro da impercettibili nanosecondi, la cui frequenza e intensità varia in base alla patologia e alla tollerabilità del paziente.
Il lato meno piacevole delle onde d’urto, infatti, è che possono risultare dolorose, soprattutto le focali che vengono concentrate in un solo punto e avvertite come un vero e proprio colpo. Per ovviare a questo inconveniente, durante la seduta che dura 10-15 minuti, è consigliabile fare delle pause. Terminate le prime tre sedute, si esegue un controllo in base al quale il fisiatra o l’ortopedico deciderà se proseguire il ciclo con altre due o tre sedute, per un massimo di sei in tutto.
Nella maggior parte delle regioni italiane, questa terapia ambulatoriale è convenzionata con il SSN. Nelle altre, è possibile farla privatamente a un costo di 150 euro per un ciclo di tre sedute.
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