Paesaggio con rovine. Irpinia: un terremoto infinito

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“Nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo” canta Guccini nella sua Piccola città, rivolgendosi a Modena, la città natale “nemica strana”. Il brano di Radici, viene ascoltato a chilometri di tragedie di distanza da un adolescente avellinese, e diventa per lui “colonna sonora di una giovinezza in provincia”. Entrambi sono accomunati da speranze e sogni troppo grandi per il dopoguerra, nel caso del cantautore, e per una città “sonnolenta” come Avellino, così descritta dal giovane irpino. A darle una scossa è il terremoto del 23 novembre 1980, un risveglio tanto violento quanto dimenticato, sciolto in un nuovo sonno che giunge fino ai nostri giorni. Perché, dopo tanto, non ci sono risposte alle domande ancora aperte? Il ragazzo avellinese di Piccola città non si arrende. È lui, Generoso Picone, affermato giornalista e scrittore, a cercarle instancabilmente. È lui a tendersi alla verità. Lo fa con il suo ultimo lavoro, Paesaggio con rovine (Mondadori 2020).

Cariche di perturbante freudiano, le rovine generano un sentimento ibrido tra un’estraneità presente e una rimossa familiarità. All’oblio concorrono l’ansia, il dolore della memoria e la negligenza istituzionale. Picone, al contrario, sottolinea la necessità di una “memoria piena e vissuta” e di “un’autobiografia del terremoto” poiché, come afferma, “io sono il luogo nel suo abbandono, nella sua incompletezza, nella sua precarietà congenita”. Che senso ha inserire i terremoti, come le altre calamità naturali e le pandemie, nell’elenco di eventi imprevedibili ed irreparabili? È utile e giusto considerarli il cigno nero (metafora dell’imponderabile nella teoria di Nassim Nicholas Taleb)? Piuttosto sono da valutare nell’ordine naturale della realtà e purtroppo a distanza di decenni non si è ancora entrati in quest’ottica, come dimostra la strage di Amatrice, nonostante le declamate campagne di prevenzione e sensibilizzazione.

I guai non vengono mai soli. Li accompagna il peggio, che per noi fu la metamorfosi del terremoto in scandalo, quello della corruzione, che generò i neologismi Terremotopoli e Irpiniagate. Quest’ultimo, infamando un intero territorio, recuperò e alimentò un “antico e sempre valido stereotipo del Sud corrotto e sprecone per rubricare in maniera disinvolta l’identità del Mezzogiorno come irrimediabilmente e totalmente refrattaria a regole, leggi, comportamenti, ordinamenti, valori, trasparenza, etica e morale”. Ma allora come si spiega la caccia al tesoro post terremoto anche di “fantomatici imprenditori del Nord”? La pochezza della “ricostruzione” non fu, perciò, innanzitutto lessicale. Non fu lessicale soprattutto quando interi paesi vennero costruiti, più che ricostruiti. L’insufficienza fu dovuta innanzitutto alla mancanza (o non attenta valutazione) dei progetti funzionali al reale avvicinamento del Mezzogiorno all’Altra Italia. Alla fine, il sostegno ai terremotati (ottimo digestivo per alleggerire le coscienze) nel cratere ha lasciato diverse zone industriali arrugginite e tantissimi paesi fantasma.

In questa terra, però, in questa Irpinia ci sono i giovani. Ci siamo noi. E in noi è la visione, e in noi bisogna confidare. Dobbiamo riprenderci la terra che ci spetta. Dobbiamo volerla come già la vediamo in visione. Ce ne vogliamo rimpossessare riprendendocela palmo a palmo: dalle miniere di Altavilla e Tufo chiuse nel 1983 alla valle del Sabato, dal Sarno fino al golfo di Napoli. La metteremo a nuovo: dalle concerie di Solofra, con i suoi scarichi chimici, all’Isochimica di Avellino, con i suoi morti e “vivi a scadenza”. La riprenderemo ai clan.

Ma per essere giovani, forti (e magari belli come gli eroi di un’altra canzone di Guccini, che a questo punto fa proprio al caso nostro) occorre formazione, occorre essere consapevoli, occorre essere uniti. Questo libro di Picone, aiuta a riconoscerci, aiuta a disingannarci da ogni falso mito. Aiuta a farci popolo di questa terra e ad impegnarci per essa.

Quest’opera di Generoso Picone dovrebbe avere spazio e tempo in tutte le scuole della provincia. È nelle scuole che si forma la coscienza civile, il cittadino. È nelle scuole che si forma la persona. È nelle scuole che si deve avvertire l’urgenza professionale, civile e morale di offrire a noi adolescenti questo strumento di consapevolezza. La Scuola ha il dovere verso il Territorio, verso di noi e le nostre famiglie di metterci in mano, in testa e nell’animo la passione civica e sociale. Il Paesaggio di Picone ne deve diventare la colonna storica e letteraria.

 

 

 

Giulia Di Cairano



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