Vi siete mai chiesto perché i giovani del Sud che si trasferiscono al Nord o all’estero per motivi di lavoro sono i migliori rispetto agli altri nelle attività che svolgono? E ancora. Perché i viaggi della speranza di tante persone colpite da un male vedono il Mezzogiorno non in grado di offrire loro le garanzie terapeutiche e di ospitalità di cui hanno bisogno? Eppure nel Sud le eccellenze in campo sanitario non mancano, mentre latita l’organizzazione dei servizi. Andiamo avanti con gli interrogativi. Perché nel Mezzogiorno, territorio a vocazione turistica con i suoi straordinari beni culturali e un clima mite, si insediano grandi industrie nazionali e multinazionali che causano inquinamento e sfruttano i benefici statali con macchinari spesso obsoleti?
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Se così è, e a parer mio non vi sono dubbi, le ragioni sono da ricercarsi nel ruolo della cosiddetta classe dirigente. I parlamentari meridionali non fanno squadra. Ciascuno agisce per proprio conto riservandosi qualche interrogazione su problemi spiccioli relativi al proprio collegio elettorale. Vale anche per i presidenti delle Regioni che non vanno oltre i confini territoriali mentre il loro ruolo dovrebbe essere quello di guardare al Sud come un unicum bisognoso di un grande progetto di sviluppo. Invece no, vince la miopia. Ne è prova il dibattito confuso e frammentario che si registra a proposito dell’Autonomia regionale differenziata. Tante voci, alcune stonate, altre indifferenti favoriscono un probabile colpo di mano dei leghisti. C’è poi da considerare che la classe dirigente meridionale, in modo pressoché rilevante, è legata a doppio filo alla criminalità che gestisce il vero potere. Politica e affari sono un cancro difficile da estirpare. Centri di potere come gli ospedali e i trasporti, tanto per citare dei casi, sono in mano ai poteri criminali che gestiscono appalti per la mensa, per i servizi igienici con personale imposto laddove la disoccupazione nel Sud raggiunge livelli di insopportabilità. Le più recenti inchieste con decine di arresti rappresentano quel pozzo senza fine che alimenta l’antistato nel Mezzogiorno. Così il bisogno crea posti di lavoro del malaffare.
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Su questo terreno la sinistra è assente, se non compromessa. Quelle voci che vengono da lontano, affrontando la questione morale, come quella di Gramsci, di Emilio Sereni, di Rossi Doria, Dorso, Berlinguer sono state spente da una sinistra senza identità, molte volte dedita alla corruzione, quasi sempre incapace di misurarsi sui problemi, mentre resta arroccata nella logica di potere. Non a caso l’avvento della destra al governo con Giorgia Meloni appare, anche a molti che si definiscono progressisti, come una fase salvifica per il Paese. La sinistra della classe operaia, delle sezioni piene di fumo, ma ricca di discussioni, è stata messa al bando da una reinvenzione in veste borghese i cui protagonisti usano un linguaggio sempre più incomprensibile e lontano dai bisogni reali. Non solo la sinistra. Anche il centrismo ha abdicato, con la sua frammentazione, a svolgere un ruolo di opposizione credibile, accontentandosi talvolta di uno straccio di potere concesso nientemeno dalla destra. Probabilmente la fusione a freddo da cui è nato il Pd appare oggi come una grande maledizione per la confusione indistinta che si registra.
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In questo panorama dalle tinte fosche qualcosa di positivo comincia a venir fuori nel Mezzogiorno. Una maggiore esportazione dei prodotti locali, una significativa crescita delle start-up giovanili con la proposta di prodotti geniali, il desiderio di radicare piccole e medie aziende nel territorio meridionale. Per ora è solo un segnale. Che viene dato da giovani non dipendenti dalla malapolitica, ma pronti a mettersi alla prova per un futuro migliore. Da questo lento processo potrebbe nascere una nuova classe dirigente di cui l’intero Mezzogiorno ha urgente bisogno.
di Gianni Festa