Il peperoncino è arrivato su un bastimento carico di… Anzi, in realtà su una caravella, quella del secondo viaggio di Cristoforo Colombo in America, nel 1493. Il navigatore, nel diario di bordo, lo definisce “axì, che è il loro pepe e di qualità che di molto sopravanza quella del pepe e non v’è chi mangi senza di esso, che reputano assai curativo”. Si diffonde rapidamente in tutta Europa perché la pianta si adatta benissimo a climi e terreni diversi, non piace a nobili e re ma al popolo sì. Anche se la Chiesa lo considera un cibo peccaminoso “suscitatore di lussuria pregiudizievole per l’anima”. E qualcosa di vero c’è…
La scala “che brucia”
Il gusto forte e bruciante del peperoncino, la piccantezza di questo frutto che accende le pietanze è dovuta alla capsaicina, una sostanza che ha la concentrazione massima nella parte bianca (la placenta), vicino ai semi. Si misura grazie alla scala ideata nel 1912 dal farmacista Wilbur Lincoln Scoville di Detroit, di cui porta il nome. La gradazione va da 0 ai 16 milioni dell’alcaloide puro contenuto e viene misurata in SHU (Scoville Heat Units).
Originariamente le unità di Scoville indicavano quante parti di acqua zuccherata servirebbero ad azzerarne l’effetto; successivamente sono stati sviluppati altri tipi di test, che misurano direttamente la quantità di capsaicinoidi invece che affidarsi alla sensibilità dell’uomo. La classifica definisce, più o meno, tra i 15.000 e i 50.000 SHU il grado di intensità media, mentre al peperoncino attualmente conosciuto come il più piccante del mondo, il Carolina Reaper, è assegnato un valore di 2.200.000 sulla Scala Scoville.
Oggi, sono più di duemila le varietà coltivate; quasi tutte presenti anche in Italia, in particolare nell’area calabrese grazie al clima decisamente favorevole. Qui ne puoi vedere una piccola selezione, tra cui anche il nostro “cornetto” tradizionale, il Diavolicchio. Originario della Calabria, questo cultivar nostrano ha una piccantezza decisa: si aggira intorno ai 100.000- 150.000 SHU, aggiudicandosi il primo posto per intensità tra i peperoncini tipici del nostro Paese.
“Picca” ma fa anche bene
Sì, perché è proprio la capsaicina che conferisce, oltre all’aroma bruciante, una delle caratteristiche “terapeutiche” del frutto: quello di favorire la digestione, stimolando la secrezione dei succhi gastrici.
«Anche assunto in dosi non eccessive, il peperoncino aumenta l’afflusso di sangue sia allo stomaco sia ai tessuti periferici. Ciò significa che risulta benefico altresì per il sistema cardiovascolare. Agisce infatti come vasodilatatore, regolarizzando la pressione se alta (indicato quindi per chi soffre di ipertensione) e proteggendo, al contempo, la salute di cuore e arterie», spiega la dottoressa Maria Paola Dall’Erta, biologa chef a Milano. «Inoltre, grazie agli acidi grassi presenti nei semi, consente ai capillari di rimanere elastici e migliora l’ossigenazione del sangue».
L’effetto stimolante sulla circolazione nell’area genitale sta alla base delle sue presunte proprietà afrodisiache, che sarebbero favorite pure dal contenuto di vitamina E, considerata la vitamina della fecondità e della potenza sessuale (compatibilmente con la quantità assunta che, ovviamente, è limitata). Agli effetti “curativi” si aggiunge poi quello di antidolorifico naturale: la capsaicina è in grado di “ingannare” l’organismo e di bloccare alcuni recettori del dolore. «È però sconsigliato a chi soffre di reflusso gastroesofageo, gastrite, ulcera e cistite, perché aumenta le secrezioni acide e può provocare irritazione alle vie urinarie», precisa l’esperta.
Per spegnere l’incendio
Se dopo averlo mangiato, il pizzicore non si placa e il fastidio è contenuto, va bene masticare del pane: agisce in modo “meccanico” rimuovendo la capsaicina, in pratica raschiandola dalle mucose del cavo orale. Quando, invece, la bocca è in fiamme, allevia il bruciore del palato con latte o derivati. Sono considerati i più efficaci se hai veramente esagerato con il peperoncino: i grassi contenuti nel latte, in particolare la caseina, neutralizzano l’alcaloide nella bocca. Puoi anche optare per lo yogurt o del formaggio. Altrimenti, puoi provare a sciacquarti la bocca, senza ingerire, con un di po’ di miele o di zucchero, mescolati in un bicchiere d’acqua.
Ecco alcune diverse varietà di peperoncino.
• Beni Highlands
Originario degli altopiani della Bolivia, ha un grado Scoville fra 30.000 e 50.000. Ha un gusto molto fruttato e dolce e una piccantezza elevata ma non eccessiva.
• Jalapeno
È il tipico ingrediente dei piatti della cucina messicana e varia tra 5.000 – 15.000 SHU, quindi non è molto piccante. Dà sapore, ma senza “bruciare” il palato.
• Condor
Dall’inconfondibile colore viola scuro e dal sapore delicato, è originario del Sud America. Ha un livello di piccantezza medio, fra 30.000-50.000 SHU.
• Maya
In cucina, si usa essiccato a pezzi o in polvere. La sua scala Scoville è valutata intorno ai 700.000 SHU e, per questo, rientra nella categoria di peperoncini super piccanti. Origine Messicana.
• Diavolicchio
Forma a cornetto, colore rosso vivo: è il peperoncino italiano. Ha una piccantezza medio-alta, 40.000-50.000 SHU e, proprio per questo, è molto versatile in cucina.
• Capezzolo di scimmia
Aromatico e alquanto piccante, viene dal Perù. Il suo grado varia da 100.000 a 200.000 SHU. È coltivato prevalentemente nelle Ande e nei Caraibi.
• Thai Orange
È originario della Thailandia e non è molto piccante: 15.000 (20.000) SHU. Il Thai Orange è caratterizzato da un gusto erbaceo e fresco, leggermente amarognolo.
• Fatalii
È un habanero che si è ambientato in Africa. La sua particolarità è il sapore di arancio. È molto piccante: da 100.000 a 300.000 SHU.
• Aji omnicolor
Dal Perù, un peperoncino dalle proprietà anche decorative per la sua varietà di colori. Piccantezza media: 50.000 SHU.
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