«Fare fotografie fa bene alla salute, è un’attività piacevole, e un potente antistress», esordisce Stefania Carnevale, psicologa e psicoterapeuta referente dell’Ordine degli psicologi del Lazio e docente a contratto di Psicologia generale all’Università Cattolica di Roma. «A causa del Covid, siamo in una fase storica “disturbata” da sensazioni ed emozioni contrastanti e disorientanti: da una parte l’entusiasmo per il mondo ritrovato, dall’altra il timore di un’altra pandemia fanno da sottofondo ansiogeno alla “nuova normalità”. La fotografia può aiutare ad attenuare questo rumore interno, poiché è una chiave di lettura istantanea di noi stessi e dell’ambiente».
Ognuno ritrae una realtà diversa
Per comprendere la potenzialità antristress delle fotografie, sfatiamo quel mito che la foto è lo specchio fedele della realtà. «Non è così. Anche se ci illudiamo di “catturare” le cose nella loro integralità, nell’attimo in cui scattiamo ci mettiamo sempre qualcosa di nostro, di profondamente intimo e inconsapevole», spiega l’esperta. Fatto sta che non c’è mai un click uguale all’altro quando più persone fotografano contemporaneamente lo stesso soggetto. Idem, se guardiamo una certa immagine in compagnia: ciascuno la leggerà in maniera differente o noterà particolari che agli altri sfuggono.
«Le diversità interpretative non sono solo il risultato di scelte tecniche e/o estetiche, ma anche – o soprattutto – dettate dalla nostra interiorità, dal nostro stato emotivo, dal riverbero tutto individuale della circostanza», prosegue la dottoressa Carnevale. «In tutte le fasi di creazione di una fotografia – chi riprendere e dove, come inquadrarlo, cosa mettere a fuoco – proiettiamo sulla realtà parte del nostro inconscio, cioè dei contenuti simbolici ai quali possiamo tentare di accedere tornando allo scatto prodotto e osservandolo in tempi diversi». Inge Morath, una grandissima artista, l’aveva racchiuso in una celebre massima: “La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”.
La fotografia serve a guardarci dentro
Fotografare qualcosa o qualcuno è più che un attimo ricreativo, un flash ispirazionale o una sensazione indelebile. «Ha una valenza psicologica, è un’occasione di conoscenza personale: attraverso lo scatto, ci possiamo guardare dal di fuori per capirci meglio», riprende la psicoteapeuta.
«Per diventare più consapevoli di noi stessi, in fondo. E accrescere l’autoefficacia, in seconda battuta: quando si conoscono le nostre risorse interiori, gli imprevisti ci fanno meno paura, ci sentiamo meno in balia degli eventi. Di buono, c’è anche che la fotografia contribuisce alla “regolazione” delle emozioni, di qualsiasi natura e intensità: aiuta a riconoscerle, a esprimerle in modo immediato e a canalizzarle in un contesto preciso, leggibile (e decifrabile) a vista d’occhio, senza che creino una nube “tossica” sulle nostre giornate. Questo mix concorre a creare salute, benessere mentale e ha un’azione antistress». Anche la medicina tiene conto dell’effetto: in alcuni contesti clinici s’usa la fotografia come strumento terapeutico, per spingere il paziente a focalizzare quelle emozioni troppo complesse o dolorose da tirare fuori con le sole parole, permettendo così di elaborare traumi importanti come una malattia.
Una fotografia per promuovere la creatività
L’elenco antistress continua. Fotografare è anche arte e gioco, dunque sollecita la creatività e procura piacere; permette di esprimere il proprio talento e di aumentare l’empowerment personale; insegna a osservare e a fermarsi, a concedersi il tempo per curiosare su ciò che avviene nel qui e ora. Uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Personality and Social Psychology dell’Apa, Associazione americana di psicologia, spiega che «fotografare non distoglie l’attenzione dalla situazione che si sta vivendo ma, al contrario, la focalizza maggiormente sugli aspetti clou del momento, rendendolo più godibile».
Sì, vale sempre la pena tirare fuori lo smartphone per una bella inquadratura. Senza porci il tema dell’ispirazione: c’è in qualsiasi luogo e circostanza, dicono gli esperti del Broken Light Collective, un’associazione no-profit che promuove la fotografia come strumento per l’armonia mentale. Basta abituarsi a descrivere in modo “poetico” l’ambiente che ci circonda, così da trasformarlo in soggetto fotografico (“la luce dell’alba che filtra dalle tapparelle socchiuse e crea geometrie sul pavimento…”); oppure chiudere gli occhi e lasciare che suoni e odori rivelino qualcosa di nuovo; o ancora uscire portando con noi un oggetto dal potere tranquillizzante, poi fotografarlo in diversi contesti. Più vario (e infinito) di così…
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Articolo pubblicato sul n. 21 di Starbene in edicola ad agosto 2020
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fotografia.