Pericardite: cos’è, cause, sintomi, trattamenti

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«Sono sicura che supererai anche questa sfida». Con queste parole sui social, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato la sua vicinanza al ministro della Difesa, Guido Crosetto, ricoverato all’ospedale San Carlo di Nancy, Roma, per una sospetta pericardite.

Come tutte le patologie che terminano con il suffisso “-ite”, anche la pericardite è un’infiammazione e non si presenta con regole fisse per tutti. «Il nostro cuore è avvolto in un sottile sacchetto di rivestimento, chiamato pericardio, che in condizioni di normalità è occupato da una piccola quantità di liquido, circa 20-30 millilitri, utile a far scorrere senza attrito i due foglietti: quello interno, detto viscerale, e quello esterno, detto parietale», descrive il dottor Fabrizio Ugo, cardiologo, master in Cardiologia dello sport e responsabile dell’Emodinamica presso l’Ospedale Sant’Andrea di Vercelli.

«Quando si verifica un processo infiammatorio o infettivo, può accadere che quel liquido aumenti, determinando un versamento lieve, medio oppure severo. Nei casi più gravi si arriva al tamponamento del cuore, che non riesce più a svolgere la sua normale funzione di pompa».

Cos’è la pericardite

Non è sufficiente la presenza di un versamento pericardico per fare diagnosi di pericardite, perché l’accumulo eccessivo di liquido intorno al cuore può avere tante cause. «Per esempio, un’alterazione della funzionalità tiroidea, il diabete, alcune forme di tumore oppure una malattia immunoreumatologica come l’artrite reumatoide o il lupus eritematoso sistemico», spiega il dottor Ugo.

«Anche la chemioterapia o l’irradiazione del torace, come accade nella radioterapia, possono determinare un versamento pericardico fra i loro effetti collaterali, perché i trattamenti antitumorali comportano un rischio di cardio-tossicità». Va detto, comunque, che esiste anche una forma di pericardite secca, caratterizzata dagli stessi segni clinici di quella con versamento, ma senza presenza di liquido.

Quali sono i sintomi della pericardite

«La pericardite è caratterizzata da un dolore di tipo costrittivo al centro del torace, simile a una morsa e spesso irradiato al collo e alle spalle, che varia in base al respiro e alla posizione», specifica il dottor Ugo.

Generalmente si intensifica da sdraiati o quando si esegue un’inspirazione profonda, mentre diminuisce stando seduti o reclinati in avanti, ma non esistono regole universali. In alcuni casi, è presente una febbricola sotto i 38° C, accompagnata da forte stanchezza, malessere generale e palpitazioni.

«Purtroppo ci sono anche forme del tutto asintomatiche, che tendono a cronicizzare nel tempo: a quel punto, il foglietto pericardico si irrigidisce e conduce alla pericardite costrittiva, una patologia cronica che impedisce al cuore di espandersi normalmente e determina scompenso cardiaco», riferisce l’esperto. «Nei casi più gravi è addirittura necessario ricorrere alla pericardiectomia, un intervento chirurgico di asportazione del sacco pericardico che serve a liberare il cuore dalle aderenze che gli impediscono una funzionalità regolare».

Quali sono le cause della pericardite 

Nella maggior parte dei casi, la pericardite è la conseguenza di banali infezioni virali o batteriche, a carico delle prime vie aeree, che colpiscono soprattutto nella stagione primaverile o autunnale.

«In termini di prevalenza, i principali agenti scatenanti sono enterovirus, adenovirus e coxsackie virus, che penetrano nell’organismo attraverso bocca o naso», racconta il dottor Ugo.

«Ci sono basi anatomiche e fisiopatologiche a giustificare questa possibilità: il pericardio e la gola condividono la stessa origine embrionale, cioè derivano dallo stesso foglietto cellulare presente durante lo sviluppo prenatale. Il fatto di nascere dallo stesso tessuto li lega per tutta la vita e li rende “contigui”, per cui i patogeni che colpiscono le vie aeree superiori possono raggiungere il sacchetto di rivestimento del cuore e farla franca».

Come si arriva alla diagnosi di pericardite

La diagnosi di pericardite va fatta dal cardiologo: attraverso lo stetoscopio, si avverte un rumore caratteristico dovuto allo sfregamento dei foglietti, molto simile agli stivali che camminano sulla neve fresca.

L’elettrocardiogramma può essere di ausilio, evidenziando alterazioni del ritmo cardiaco o dell’attività elettrica del cuore, così come la radiografia al torace può mostrare un allargamento dell’ombra cardiaca. «La piena conferma arriva però con l’ecocardiografia, che permette di rilevare la presenza di versamenti anche di piccola entità», precisa l’esperto. «A quel punto, si tratta di stabilire la causa fra le tante possibili. Utile può essere la pericardiocentesi, una procedura eseguita in anestesia locale che consente di aspirare il liquido con un ago guidato da monitoraggio ecocardiografico».

Mentre un campione viene analizzato al microscopio per identificare la precisa causa che genera l’infiammazione del pericardio, un primo esame macroscopico riesce già a fornire molte indicazioni. «Se il liquido è purulento, cioè contiene pus, l’origine del versamento è senza dubbio un’infezione batterica; se è citrino, ovvero di colore giallastro-trasparente, può trattarsi invece di una disfunzione tiroidea, di una malattia immunoreumatologica, di un esito del diabete, dell’effetto collaterale di una terapia antitumorale o di una pericardite infiammatoria; se è sieroematico infine, per cui contiene tracce di sangue, l’origine potrebbe essere un tumore oppure la tubercolosi».

Trattandosi di una patologia complessa, la diagnosi è soprattutto clinica: attraverso un’attenta anamnesi del paziente, lo specialista indaga se ci sono state patologie acute recenti (influenza, bronchite, faringite, etc), se vengono seguite particolari terapie, se sono presenti malattie metaboliche o immunoreumatologiche e così via.

Come si tratta la pericardite

La terapia della pericardite consiste nel riposo e nell’impiego, a dosaggi elevati, di un antinfiammatorio non steroideo (Fans), in particolare l’ibuprofene: 600 mg tre volte al giorno per una settimana, 600 mg due volte al giorno per un’altra settimana, 600 mg una volta al giorno per un’ulteriore settimana.

«A questa terapia si abbina l’assunzione di colchicina, un farmaco normalmente impiegato per trattare e prevenire la gotta, che in base a diversi studi scientifici pubblicati sul New England Journal of Medicine non soltanto collabora alla guarigione, ma limita anche il rischio di recidive, piuttosto frequenti nella pericardite», avverte il dottor Ugo.

«All’opposto, non va assunta la terapia cortisonica, che facilita proprio le ricadute». Di solito, la pericardite si risolve nell’arco di un mese. Dopo, non trattandosi di una cardiopatia, la vita normale può essere ripresa in tutta tranquillità, ma con qualche accorgimento: «Per esempio, chi pratica attività sportiva deve togliere gli abiti sudati subito dopo l’allenamento, asciugare i capelli prima di uscire all’aria aperta e seguire i classici “consigli della nonna”, che evitano le recidive», conclude l’esperto.

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