possibile cause del cuore lento e test sotto sforzo

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Cammina lento come una tartaruga o veloce come un ghepardo? Sì, stiamo parlando del tuo cuore e precisamente della frequenza cardiaca, cioè del numero di battiti al minuto. Un numerino che a volte non è proprio da manuale, mentre altre desta preoccupazione pur rientrando nell’intervallo di valori definiti normali.
Contrariamente a quanto si pensi, non sono solo i tachicardici (in genere più controllati) a misurarsi la frequenza, con il cardiofrequenzimetro o con lo sfigmomanometro usato per rilevare la pressione arteriosa. Anche i bradicardici, che spesso scoprono di esserlo casualmente, nutrono dubbi sulla loro condizione e vanno in palestra con il loro “orologino” (vi sono sportwatch di tutti i modelli) che registra ogni alterazione del ritmo cardiaco.

Ma quando le pulsazioni segnalano qualcosa che non va? «Innanzitutto occorre sapere che il battito cardiaco è dato da una sequenza di impulsi elettrici che si generano nella parte alta dell’atrio destro (detta seno atriale) e si diffondono a tutto il muscolo cardiaco, percorso da specie di “autostrade elettriche” che regolano la sua contrattilità», spiega il dottor Roberto Fornerone, specialista in cardiologia e farmacologia a Milano.

«Si definisce regolare un ritmo sinusale che, a riposo, va dai 60 ai 100 battiti al minuto. Sotto i 60 si parla di bradicardia, mentre sopra i 100 si entra in una condizione definita tachicardia. Ma… attenzione! Nè l’una né l’altra sono necessariamente patologiche: spesso si tratta di frequenze parafisiologiche che non devono allarmare, anche se è bene fare un controllo da un cardiologo, corredato da esami quali l’elettrocardiogramma e, se lo specialista lo ritiene opportuno, l’holter cardiaco (o ECG dinamico) che consiste nella registrazione continua dell’attività elettrica del cuore nell’arco di 24-48 ore per valutare il sinusale durante il sonno e la veglia».

Se il cuore batte “meno”: tutti i perché

Ma è normale avere 45 battiti al minuto, a riposo? Sì, esistono delle persone geneticamente bradicardiche che hanno ereditato questa caratteristica dal ceppo familiare. Ma non è uno svantaggio. Tutti i grandi atleti, che hanno conquistato medaglie negli sport di endurance, presentano una frequenza di base bassa, resa ancora più lenta dall’allenamento fisico intenso che, com’è noto, consente di conseguire grandi sforzi con un modesto consumo di ossigeno.

«Si definisce “cuore d’atleta” quello che nel corso del tempo, grazie alla pratica agonistica, ha subìto delle modificazione funzionali e strutturali tali da riuscire a ottimizzare le performance: batte più lentamente ed è leggermente dilatato, come rileva l’ecografia, perché l’aumento di volume e l’ispessimento delle pareti permettono al cuore di pompare una quantità di sangue molto maggiore, nella stessa unità di tempo, rispetto a chi conduce una vita sedentaria», spiega il dottor Fornerone.

«Basti pensare che il grande Fausto Coppi aveva 45 battuti al minuto e così altri “cuori da record” come quelli di Bjorn Borg, Falcao, Alex Schwazer e il compianto Pantani, che viaggiava intorno ai 35 battiti al minuto». Tuttavia, se hai una frequenza fissa sotto i 50, 60-100 battiti al minuto pur in assenza di sintomi, è importante consultare un cardiologo per capire se si tratta di una bradicardia ereditaria, che non comporta alcun rischio ma rappresenta soltanto il tuo tratto distintivo, oppure se è la spia di alcune patologie. Tra queste, la più frequente che si riscontra nelle donne è l’ipotiroidismo, che può essere di origine autoimmune (come la tiroidite di Hashimoto) o non, e che comporta appunto un rallentamento di tutte le funzioni metaboliche, compreso il ritmo sinusale. Per questa ragione, la prima cosa da fare è prescrivere degli esami del sangue volti a valutare la funzionalità della tiroide: TSH, FT3 e FT4. Se la tiroide, per qualsiasi ragione, è diventata pigra occorre prendere l’ormone tiroideo sostitutivo per rimettere il battito in carreggiata.

I due test per il cuore lento

«Tiroide a parte, esistono poi degli esami di pertinenza prettamente cardiologica per valutare la capacità di adattamento di un cuore bradicardico allo sforzo fisico», puntualizza il dottor Roberto Fornerone. «Mi riferisco a due test: il primo è la prova da sforzo su tapis roulant, che dura dodici minuti e prevede un aumento della pendenza e della velocità del tappeto ogni tre minuti. Il secondo è il test da sforzo su cicloergometro: il paziente deve pedalare per una ventina di minuti su una cyclette con carico di lavoro crescente, che aumenta ogni due minuti. L’obiettivo è farlo arrivare alla frequenza cardiaca massima che è data da una formula matematica precisa: 220 meno l’età. Se una persona, per esempio, ha 50 anni, durante il test da sforzo potrà raggiungere la frequenza massima di 170 battiti al minuto. E questo è indicativo di un buon adattamento cardiocircolatorio di un cuore di per sé bradicardico ma fondamentalmente sano. Significa che non c’è alcuna malattia di fondo: semplicemente il suo sistema nervoso autonomo è geneticamente impostato per una predominanza del tono vagale (quello della calma) rispetto al tono simpatico (tipico della veglia e dell’eccitabilità).

Non tutti i bradicardici però riescono a raggiungere sotto sforzo la frequenza cardiaca massima: alcuni si stancano e smettono di correre o pedalare prima che termini il test, dal momento che accusano affanno e debolezza muscolare. In questo caso il cardiologo comincia a sospettare qualche alterazione e prescrive al paziente che non ha superato il test i dovuti accertamenti. Servono a individuare eventuali patologie congenite, come difetti atrio-ventricolari, o “aritmie lente” che possono instaurarsi con l’avanzare degli anni. Tra queste, la più frequente è il blocco cardiaco, un ritardo nella conduzione degli impulsi elettrici durante il passaggio dall’atrio al ventricolo. In questo caso occorre impostare una terapia farmacologica e, in alcuni casi, programmare l’impianto di un pacemaker artificiale».

Se la frequenza del battito cardiaco scende sotto i 40 e non sei un atleta

In questo caso si tratta di bradicardia conclamata che comporta dei sintomi molto invalidanti: vertigini, svenimento, presincope (sensazione di svenimento imminente), profonda astenia e dispnea, cioè mancanza di fiato e difficoltà respiratorie. Che fare? Allerta subito il medico di base che ti indirizzerà dal cardiologo per fare i controlli.

Saltuarie, e non pericolose, sono invece le incursioni verso la bradicardia che si possono registrare durante il sonno profondo, pur in mancanza di un quadro patologico. Mentre si dorme, infatti, si può avere una diminuzione anche di 20 battiti (da 60 a 40, per esempio) che però non è a rischio svenimento perché si è già in posizione orizzontale. Ma basta un piccolo stimolo che, con il risveglio, si rimette in moto l’apparato cardiocircolatorio e il cuore ritrova il suo ritmo abituale.

Dosa gli elettroliti!

Vanno dosati nel sangue sia se il tuo cuore è un po’ lento sia se è un “velocista”. Sono gli elettroliti, milligrammi tuttofare assunti con la dieta che possono condizionare la frequenza cardiaca: sodio, calcio, potassio e magnesio. A questi quattro elettroliti, va aggiunto il ferro, che rientra nei minerali.

Qualche esempio? «La bradicardia può dipendere da un eccesso di potassio che, a sua volta, può essere determinata da disfunzioni renali, ma anche da una dieta inadeguata», avverte il dottor Roberto Fornerone. «Oppure la carenza di ferro, spesso dovuta a un flusso mestruale abbondante o a una dieta vegetariana, può provocare la cosiddetta tachicardia riflessa: il cuore accelera per migliorare la distribuzione di ossigeno a organi e tessuti da parte dell’emoglobina, che è bassa».

Per un check completo, quindi, chiedi al tuo medico di poter controllare la concentrazione degli elettroliti e del ferro che circolano nel tuo organismo. A volte basta poco per ritrovare il giusto ritmo.

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