Acqua, ossigeno, luce. Sono le tre sorgenti di vita, le inesauribili fonti di energia senza le quali nessun essere vivente riuscirebbe a sopravvivere. Grazie ai progressi della ricerca, si è scoperto quali bande dello spettro luminoso sono più benefiche per la salute umana e, attraverso sofisticati laser e lampade multiled, sono state selezionate le lunghezze d’onda più adatte a esprimere la loro forza guaritrice.
Merito di ricercatori, bioingegneri ed esperti di fototerapia che, creando dei gioielli tecnologici, consentono oggi di curare molti disturbi con quella medicina, priva di effetti collaterali, rappresentata dai bagni di luce. Curiosa di esplorare la magia delle onde luminose e le loro applicazioni? Ecco alcuni esempi.
- Dolori muscolo scheletrici – Sì agli infrarossi
Come curare la dolorosa lombosciatalgia, dovuta all’improvvisa contrattura dei muscoli paravertebrali? «Con la fototerapia. La zona lombare è facilmente irradiabile da lampade medicali di varia grandezza, che vengono poste vicino alla schiena», spiega il professor Leonardo Longo, endocrinologo e specialista internazionale in laser e fotobiomodulazione a Firenze.
«Le bande luminose benefiche in questo caso sono due: quella del vicino infrarosso (780-1200 nm) e quella del lontano infrarosso (10.600 nm). La loro azione è complementare: il primo ha un effetto antinfiammatorio e antalgico che si estende dai tessuti osteo-muscolo-tendinei fino alle radici nervose profonde (quelle che ordinano al muscolo di contrarsi). Il secondo agisce, invece, più superficialmente, con un’azione decontratturante sulla muscolatura e sulle terminazioni nervose superficiali. Insieme, le due lunghezze d’onda tolgono spasmi e rigidità a livello lombosacrale fin dalla prima seduta, anche se è consigliabile fare un ciclo di 10».
Anche la cervicalgia, la terribile “cervicale” che ci impedisce di muovere il collo, beneficia della fototerapia. Uno studio pubblicato su The Lancet nel 2009 promuove il laser a infrarossi (da 800 a 1064 nm) come la terapia di elezione per combattere il dolore al collo e alle spalle. Un effetto momentaneo, a cui si somma quello a lungo termine di rigenerazione dei tessuti periarticolari. E che dire della fibromialgia, la corazza dolorosa che ingabbia molte donne? Anche in questo caso l’esposizione a sorgenti luminose dà risultati inaspettati. «Oltre all’effetto antinfiammatorio e miorilassante, la luce riattiva la microcircolazione. Fatto che porta a un veloce smaltimento delle scorie metaboliche e a una migliore ossigenazione e nutrimento di muscoli, tendini e legamenti», chiarisce Longo.
- Fasciti & Co – I raggi ammorbidiscono
Fascite plantare, Morbo di Dupuytren, Induratio penis plastica (nota anche come malattia di La Peyronie). Che cosa hanno in comune? L’essere causate da un progressivo “indurimento” delle fasce connettivali, che diventano fibrose e anelastiche, come cicatrici profonde che “tirano” la cute e fanno male. Nel caso della fascite plantare, infatti, si fatica a poggiare la pianta del piede. Nel Dupuytren i tendini flessori della mano si irrigidiscono, provocando la flessione permanente di una o più dita (in genere le ultime due) verso il palmo.
L’Induratio penis plastica, tutt’altro che rara tra i giovani, comporta invece una curvatura del pene che rende difficili i rapporti e che è spesso associata a erezioni dolorose e insufficiente rigidità peniena.
«Tutte queste collagenopatie, la cui origine è ancora sconosciuta (sappiamo solo che dipendono da un’alterata sintesi di collagene) rispondono bene alla terapia luminosa e riescono, il più delle volte, a evitare l’intervento chirurgico», spiega il professor Leonardo Longo. «In questi casi si usa sia l’infrarosso sia la luce rossa (dai 600 ai 750 nm). Esponendo la parte sofferente alla luce coerente dei LED (Light Emitting Diodes) si realizza la fibrolisi, che consiste nell’elasticizzare e “sciogliere” gli ispessimenti fibrosi della fascia plantare, dei tendini della mano o, nel caso del pene, delle dure fibre di collagene sottocutanee.
- Infezioni – Uva contro virus e batteri
Un altro campo di azione della fototerapia è quello della lotta senza quartiere ai germi, siano essi virus, funghi o batteri. Un esempio? Il fastidiosissimo Fuoco di Sant’Antonio, brucianti vescicole dovute alla riattivazione dell’Herpes zoster, il virus della varicella contratto da giovani. Oppure l’herpes labiale, tormento di molte ragazze in estate, o l’ancora più insidioso herpes genitale.
«La terapia classica prevede l’assunzione per 8 giorni di aciclovir (un antivirale) ma si può avere una rapida risoluzione dell’infezione, e dei sintomi, esponendo per 10 minuti la parte interessata alla luce degli ultravioletti: gli UVA (dai 280 ai 400nm), noti per la loro azione germicida e antisettica a largo spettro», chiarisce il professor Longo. «I risultati non tardano ad arrivare: per eliminare le lesioni erpetiche acute bastano da una a tra sedute».
Una cura che si rivela molto efficace anche per combattere le infezioni estive, come la Pitiriasi rosea caratterizzata da papule rosse-rosacee di forma ovoidale e causata da virus. E i batteri? Anche loro soccombono ai raggi luminosi. Gli UVA, infatti, sono uno scudo contro l’impetigine che viene spesso ai bambini in estate: forte irritazione della pelle dovuta a sabbia, pannolini e sfregamenti vari. «Le micosi del cavo orale come il “mughetto”, più difficile da raggiungere con le normali lampade a led, vengono invece trattate con successo dalla luce blu (450nm) emessa da fibre ottiche luminose, così sottili da poter raggiungere senza noia le varie aree della bocca. Poche irradiazioni e le macchioline bianche dovute alla Candida scompaiono, così come si riducono afte, piccole ulcere della mucosa buccale e gengiviti ricorrenti, di origine batterica o micotica».
KO, infine, per la micosi ungueale, che impazza nella stagione estiva e che danneggia le unghie dei piedi, rendendole fragili, oltre a striarle di macchie giallognole. Basta applicare sull’unghia un colorante naturale, il rosa Bengala, che viene attivato dalla luce verde (532nm). Ovvero la lunghezza d’onda che distrugge il fungo “alla velocità della luce”».
- Occhio secco – Prova la luce pulsata
Oltre l’80% dei “forzati della scrivania” soffre di Dry Eye, la sindrome dell’occhio secco che colpisce chi fa un uso smodato di computer, smartphone, tablet e altri dispositivi digitali. Tant’è che le lacrime artificiali sono il collirio più venduto al mondo. A essere colpite sono soprattutto le “over 50” (il crollo degli estrogeni altera la quantità e qualità del film lacrimale) che, dopo ore al monitor, avvertono stanchezza visiva, secchezza oculare, irritazione delle congiuntive e sensazione di sabbia negli occhi. Come liberarsi dalla schiavitù delle lacrime artificiali? Con un breve ciclo di luce pulsata, la terapia che consente di ripristinare le fisiologiche secrezioni da parte delle ghiandole di Meibomio, quelle invisibili ghiandoline nascoste nelle palpebre inferiori e superiori che sono responsabili della frazione lipidica delle lacrime. Infatti, se la componente grassa è carente, il film lacrimale evapora subito e l’occhio si disidrata.
«A differenza del laser, la luce pulsata non è coerente ed è policromatica, con una lunghezza d’onda compresa tra i 500 e i 1200 nm», esordisce il dottor Lucio Buratto, oculista e direttore scientifico dei centri Neovision. «Emessa da una sonda luminosa, viene passata lungo la palpebra inferiore, avendo cura di proteggere le pupille con gli occhialini. In genere si “sparano” cinque spot per lato: il fascio energetico viene assorbito e convertito in calore, pronto a svolgere diverse funzioni. Fluidificando le secrezioni lipidiche, disostruisce le ghiandole di Meibomio, favorisce l’apertura dei dotti lacrimali, riduce i marker infiammatori e agisce positivamente sui vasi sanguigni anomali. Inoltre, si è scoperto che la luce pulsata uccide il Demodex, il microscopico acaro che vive spesso all’interno delle ghiandole di Meibomio causando secchezza e infiammazioni croniche».
Come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Cornea, una sola seduta è sufficiente a migliorare la qualità e la quantità della lacrima, anche se è bene programmarne 3-4. «Per potenziare la luce pulsata, nella stessa seduta si può abbinare la fotobiomodulazione con maschere di plastica rigida che vengono appoggiate sul volto per 12 minuti, a pochi centimetri di distanza dagli occhi», prosegue il dottor Buratto. «Celano una quarantina di led a luce rossa. Tante “lucine” rotonde, che favoriscono la lubrificazione della superficie congiuntivale, riducendo i segni di discomfort visivo».
A lezione di fotobiologia
La fotobiomodulazione ha origini antichissime: già Ippocrate raccomandava di esporre alla luce ulcere e ferite per accelerarne la cicatrizzazione. Ma è solo alla fine del ’700 che Joseph Priestley inizia gli esperimenti di fotochimica, poi proseguiti da Antoine de Lavoisier, che costituiscono le basi della moderna fotobiologia.
Nel 1960 Theodore Maiman inventò il laser, che emise la prima luce coerente monocromatica (rosso), mentre negli anni ’80 e nel primo decennio del 2000 Konstatin Korotkov, professore di fisica al Politecnico di San Pietroburgo ottenne molti riconoscimenti per i suoi brevetti nel campo della biofisica. Spetta a lui il merito di avere ideato il dispositivo bioelettrografico GDV (Gas Discharge Visualization), una specie di macchina fotografica che rileva e misura i campi energetici attorno alle persone.
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