Quella borghesia complice | Corriere dell’Irpinia

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Di Gianni Festa

Come sempre quando si avvicina un turno elettorale si assiste ad una mobilitazione degli addetti ai lavori con accese discussioni, dibattiti, tavole rotonde e quanto altro si registra nella vigilia dell’appuntamento. Un tempo la partecipazione era piuttosto significativa mentre oggi essa è limitata agli addetti ai lavori, a pochi referenti definiti anche capipopolo, portatori di consenso e di interessi ben precisi. Si tratta di una partecipazione limitata che indebolisce quella possibilità di contribuire al miglioramento della realtà a cui si fa riferimento. Questa situazione è ben presente nella città di Avellino dove il voto per il rinnovamento dell’Istituzione Comune è già molto avvertita, con un limite però che inquieta. Si tratta della non partecipazione alla vicenda elettorale di quel ceto borghese che nel passato è stato riferimento delle vicende elettorali. Quale spiegazione dare al ritrarsi del ceto borghese dal dibattito elettorale? Un primo elemento della non partecipazione è nella delusione di come è amministrata la città. Troppo populismo, una politica accattivante attraverso lo spreco di danaro pubblico per feste di piazza e manifestazioni varie, mentre latitano le risposte ai gravi problemi che attanagliano la città. “ E’‘o popolo c‘o vò”, si sente dire spesso da coloro che si accontentano del profilo basso e discutibile di alcune manifestazioni. Ma di quale popolo si tratta? Basta dare uno sguardo ai concerti organizzati con cantanti di grido con una partecipazione oltre il prevedibile, naturalmente per una serata ben retribuita a chi si esibisce sul palco. Gratis funziona sempre. Il tutto dura giusto il tempo della neve d’estate che si scioglie per il raggio di sole che spunta d’improvviso. E poi? Tutto il resto rimane immobile tra gli annunci di soluzione puntualmente smentiti. Una delle risposte della non partecipazione al dibattito pre elettorale della borghesia cittadina è la mancanza di una politica culturale che possa avvicinare i più a nuove forme di intrattenimento con diverse specificità. Azione che dovrebbe essere svolta anche dal Teatro Gesualdo che dopo gestioni di grande interesse si è trasformato in un business di basso profilo e, comunque, di presenze che vengono gestite da factotum del napoletano. La cultura, le manifestazioni e gli appuntamenti di ottimo gradimento sono proposti da associazioni culturali o da privati cittadini. In questo caso la partecipazione è notevole come lo è l’argomento in discussione. Il Comune di Avellino si limita a dare il patrocinio gratuito. Ciò premesso resta aperto il tema della non partecipazione ai problemi della borghesia avellinese. Alcuni personaggi sollecitati a dare una risposta si sono limitati a dire che un proprio impegno diretto deve essere garantito non da facili promesse ma da risorse immediatamente spendibili (leggi Manfredi sindaco di Napoli), avendo la disponibilità di una squadra di governo scelta per merito e competenza. Se questo non è possibile, meglio starsene in disparte e lasciar fare a demagoghi e trasformisti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: consiglieri comunali sconosciuti, dibattiti consiliari scadenti anche per il mediocre ruolo delle opposizioni, un uomo solo al comando che gestisce in pubblico con lo sguardo e in privato con scelte di dubbia efficienza, ma di sicuro clientelismo. Eppure ceto medio e borghesia in una città terziarizzata come Avellino, con impiegati e professionisti di valore, potrebbe esprimere una classe dirigente all’altezza del compito da risolvere. Ma non è così per i motivi di cui abbiamo detto a cui altri non secondari si potrebbero aggiungere. Cambiare, comunque, si può. Basta fermarsi un attimo in più nella cabina elettorale, farsi un esame critico di come è ridotta la città e in coscienza esprimere la preferenza con la sola arma vera che si ha: il voto.


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