racconto un camorrista e la sua incapacità di vivere l’amore – Corriere dell’Irpinia

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“Sono partito dalla storia di un colletto bianco della criminalità per esplorarne la sua interiorità”. Spiega così il regista Romano Montesarchio ‘The glory hole”,scritto con Stefano Russo e Edgardo Pistone (già cosceneggiatore per “So sempe chille”, che presenterà domani sera, alle 20.30, al cinema Partenio, nell’ambito della rassegna firmata Zia Licia”. “Volevo porre l’accento sulla sua inadeguatezza all’amore e alla bellezza – sottolinea – Nel momento in cui è costretto a fuggire, nella solitudine del bunker scava dentro sè ed è costretto a fare i conti con i suoi desideri, a partire dall’unico grande amore della propria vita”. Montesarchio si sofferma sul legame tra scelta di una vita violenta e incapacità di vivere l’amore “Le persone che conducono una vita cinica e crudele, la maggior parte della volte, non sono mai venute al cospetto con l’idea di bellezza e dell’amore. Ed è una delle ragioni del loro modo di vivere. Lo stesso titolo della pellicola è un chiaro riferimento a una pratica sessuale diffusa nei locali per scambisti, soprattutto tra i latitanti che devono nascondere la propria identità. Ma è soprattutto una metafora,  simbolo del bunker in cui è rinchiuso ma anche della sua interiorità, nel quale riconosce i suoi peccati e i suoi delitti, di quella vita che ha perduto e che scruta continuamente”.

Nel ruolo di protagonista Francesco Di Leva “Ho pensato subito a lui per il protagonista insieme al produttore Gaetano Di Vaio. Proviene da una periferia di Napoli e conosce molto bene il modo di vivere che sceglie il personaggio principale. Ecco perchè l’ho voluto al mio fianco anche nel processo di scrittura. E Francesco ha interpretato il protagonista con grande intensità, in campo dalla prima all’ultima inquadratura. Non c’è una scena in cui lui non appare”. Una proiezione che diventa anche l’occasione per ricordare il produttore Gaetano Di Vaio, per anni ospite fisso dello Zia Lidia, scomparso lo scorso anno “E’ l’ultimo film che ha prodotto e a cui ha partecipato nel ruolo del boss, padre della ragazza di cui si innamora il protagonista. La nostra è stata un’amicizia ventennale, lo avevo coinvolto perchè lo volevo con me sul set. Ero certo che ci saremmo divertiti. Era un uomo di cinema, produttore coraggioso come pochi, regista di documentari ma anche bravissimo attore. Anche in Glory Hole la sua presenza si carica di un valore forte. Bello che Zia Lidia lo abbia voluto ricordare. E sul cinema in cui si riconosce “vengo da un lungo percorso di documentarista, ho raccontato la marginalità, la criminalità delle periferie, le minoranze. Nel cinema di finzione mi piace rivolgere il mio sguardo agli universi in cui ci sono conflittualità e prevaricazione sociale ma con un tocco visionario e onirico, meno legato alla verità, contraddistinto da immagini fantasmatiche e allucinazione”.

E sullo stato di salute del cinema italiano “Credo che ci sia tanta qualità oggi nel cinema italiano, lo dimostrano i buoni risultati di pellicole come Diamanti di Ozpeteck o Follemente di Genovese. I film italiani hanno sempre cose interessanti da dire e con modalità stilistiche forti come Vermiglio, che è quasi un film neorealista. Ma ha una sorta di volto bicefalo, da un lato abbiamo pellicole che riescono ad ottenere grandi risultati, dall’altro c’è una cinematografia indipendente, che fa fatica ad attirare il pubblico, come Glory Hole. Sono film che non sono accompagnati da grandi campagne pubblicitarie o non hanno una capillarità distributiva. Se ci fosse un maggiore sostegno da parte dello Stato, ci sarebbero anche molti più spettatori a vedere film italian”. E sul ruolo cruciale di associazioni come lo Zia Lidia “Sono balsamo per cinema, consentono ad alcune pellicole di continuare a vivere e al tempo ci consentono di comprendere che, se alcuni film vengono accompagnati da un’adeguata attività culturale, la gente va a vederli. Quando mi chiamano i ragazzi dello Zia Lidia, rispondo sempre che vengo anche a piedi. Del resto, è stato grazie a un cineclub, il Vittoria di Caserta, che ho frequentato dai 15 ai 25 anni che ho scoperto il cinema del reale, ho capito che esisteva un ventaglio più ampio di possibilità per il linguaggio cinematografico e ho trovato la mia strada”



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