Raniero La Valle e il secolo lungo – Corriere dell’Irpinia

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Felice Santoro

Quel nostro Novecento con sottotitolo Costituzione, Concilio e Sessantotto: le tre rivoluzioni interrotte, è un testo del  2011 di Raniero La Valle. Oggi della nostra Carta parlerebbe certamente di passi indietro, in considerazione  soprattutto del tentativo di stravolgimento fermato dal referendum del 2016  fortemente sostenuto dall’autore, promotore dei  “Cattolici per il NO” .  Sul Concilio vi è un forte rilancio, un suo ritorno, con papa Francesco che da subito, eletto nel marzo del 2013, nel novembre successivo con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium  tracciò  le linee del suo pontificato che si richiama e ripropone  temi conciliari; le encicliche hanno contrassegnato il suo magistero  sui temi della pace, della salvaguardia del creato  e delle problematiche sociali,  l’ultima è dello scorso ottobre, Dilexit nos, sull’amore umano e divino.
La Valle, novantaquattro anni , è un intellettuale di primissimo piano dell’area cattolico-democratica. Di ispirazione morotea,  a trent’anni è direttore del quotidiano Dc, Il Popolo,  per passare poi al giornale bolognese L’Avvenire d’Italia che negli anni sessanta fu lo strumento più importante per seguire e comprendere il  significato del Concilio.  Tra i protagonisti nella scelta complessa  del 1976 in cui decide  di candidarsi come indipendente nelle liste del Pci,  insieme ad altri intellettuali cattolici,  aderendo al gruppo della Sinistra Indipendente; restò in Parlamento per quattro legislature,  fino al 1992. Nel  libro si sofferma sui questa opzione coraggiosa e rimarca l’impegno  suo e del  gruppo  che segnò alcune spinose questioni .                                                                                                                                                                       Sull’aborto, in cui riuscì ad elaborare una proposta autonoma ed alternativa  alle posizioni laiciste estreme  e alle tradizionaliste che offrivano  una risposta in termini esclusivamente penalistici, e sull’obiezione di coscienza , che  con la legge di riforma del 1992  fu trasformata  da “trasgressione tollerata dallo Stato  in obbedienza alla coscienza, intesa come esercizio di un diritto di libertà incoercibile dal potere”.                                                Si contrappose alla linea della fermezza sul sequestro di Aldo Moro e fu sempre ed è tuttora in prima linea nelle battaglie di promozione della pace.   Nella pubblicazione sottolinea che sono  troppi  coloro che si considerano o sono chiamati maestri e invita  a rileggere l’evangelista   Matteo,  “uno solo è il vostro maestro “, ed afferma che  nel Novecento,  che non è stato un secolo breve, hanno trovato origine le sue scelte quotidiane.                                                                                                                                                                                          Aveva vissuto lietamente fino  agli otto anni quando morì il padre, “ ho smesso di essere un bambino” e  con la guerra  “venne anche la fame” .  Ricorda che la Fuci, dove è stato introdotto da Vittorio Bachelet di poco più grande , era “una grande comunità di amici:  se la Chiesa era quella , era una meraviglia “; il Novecento con le Costituzioni postbelliche aveva cambiato il suo volto. Riconosce che i dossettiani  si spesero  tanto affinché  la Dc  diventasse il partito dei nobili  ideali repubblicani ; “non riuscendoci, Dossetti si ritirò dalla scena”.   Poi tratta con entusiasmo  la grande svolta del Concilio  che rovescia l’immagine di un Dio vendicatore,  in quanto in realtà  non abbandona gli uomini, “non dereliquit eos”. Inoltre, a proposito della riconciliazione della Chiesa con il mondo,  La Valle scrive “ è stata  in realtà  una riconciliazione con l’uomo”.
All’Avvenire d’Italia visse una ricca stagione anche per il contatto con giornalisti di spessore quali Citterich, Longhi, Pratesi , Zizola  e collaboratori di primo piano presenti a Bologna, dai fratelli Prodi ad Alberigo, Ulianich e Andreatta.                                                                                                                                                                  Evidenzia  che i tre principali doni che  il Novecento consegna  sono la Costituzione, il Concilio e il ‘68 e, quindi, resteranno “ il diritto, la fede e la libertà, ma di tutte più grande è l’amore” e riporta una conclusione paolina. E indica uomini  e donne che lo hanno colpito lungo il suo cammino militante, a cominciare da Teresa Mattei, partigiana, una delle madri costituenti, con cui  a Pisa tenne un comizio nel 2006 sul referendum costituzionale in opposizione alla devastante riforma. Mattei  inventò la mimosa  per l’otto marzo, fiore povero e diffuso nelle campagne, entrò in contrasto con il suo Pci già alla Costituente, perché non aveva nessuna intenzione di votare l’art. 7 che inseriva  in Costituzione i Patti lateranensi , e ancora di più rappresentò  un corpo estraneo  al partito quando aspettava un figlio e il compagno era sposato.  La Costituzione, aggiunge, è assai apprezzata  anche perché è stata scritta da “deputati poveri che stavano dalla parte dei poveri”. Infatti, un  esempio  è dato dai “professorini”, Dossetti, La Pira, Lazzati, Fanfani, che andarono a vivere insieme in via  Chiesa Nuova in casa delle signorine Portoghesi.                                                                                                                                                           Poi ricorda Tina  Anselmi, ancora una partigiana, entusiasta di Zaccagnini segretario Dc, prima donna  Ministra, del Lavoro e della Sanità,  e intransigente Presidente della Commissione  sulla P2. E Raimundo Panikkar, sei mesi  in California con la sua filosofia  e sei mesi  a Benares, “padrone della filosofia occidentale e della sapienza indù … dentro di sé l’incontro  fra i due mondi e le due culture, tra la ragione e la fede, tra il logos e il mito, tra l’uomo e il cosmo “. Padre indiano e madre spagnola, La Valle gli è stato amico da sempre, dal lontano 1964, avendolo conosciuto in India quando da giornalista aveva seguito un viaggio di Paolo VI, alla morte nel 2010 all’età di novantadue anni.
E ancora le Madri di Plaza de Mayo e le donne dell’imponente manifestazione del 13 febbraio 2011 che ha dato seguito  all’appello dal titolo “Se non ora, quando?”  e ha sollevato  il problema : “L’Italia non è un paese per donne, vogliamo che lo diventi”.
Intensa e preziosa è la glossa del frate francescano Marco Malagola, missionario dal 1971 al 1981  in Papua Nuova Guinea dove ha imparato che “ la vita è più ricca se è spesa  con la gente per il prossimo … nel mondo occidentale si inseguono valori superflui e si lascia sfuggire l’essenziale … si può anche essere ricchi, magari di civiltà e di cristianesimo, ma poveri di umanità … non si può essere amici di Dio se non si è amici dell’uomo”. Lo slogan che coniò, Noi siamo Chiesa, fu facilmente comprensibile perché nella loro cultura la comunità, il clan, viene prima della famiglia per cui non si è mai orfani in quanto  “padri e madri del clan, all’occorrenza, si facevano papà e mamma del bambino che non li aveva”.  In precedenza aveva lavorato presso la Segreteria di Stato , un osservatorio privilegiato negli anni del Concilio. Fu colpito da Helder Camara, il vescovo delle favelas  brasiliane e sottolinea che allora si auspicava  una Chiesa  “che avesse più fiducia nella forza del vangelo e nella testimonianza dei credenti  che in una protezione paternalistica e formale del potere civile”. Cita Giovanni XXIII  “ Non è il vangelo che cambia, siamo noi che dobbiamo imparare a conoscerlo e a comprenderlo meglio”.  Padre Malagola, scomparso nel 2020, ritiene che con il Concilio, “si sia evitato lo scisma Chiesa-Mondo  … Il vangelo non è soltanto annuncio  ma anche denuncia  … essere Chiesa vuol dire fraternità, costruirla, consolidarla dal di dentro”.                                                                                                   Con il Vaticano II  al centro è  il popolo di Dio. Vivere il vangelo nel quotidiano “costa e costa molto”, e così cita  Enzo Bianchi, e ricorda  cristiani esemplari, Tonino Bello e Primo Mazzolari, Ernesto Balducci e  Davide Turoldo, Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, Raniero La Valle, che  hanno sofferto per la Chiesa “ ma talvolta hanno finito per soffrire a causa sua”.                                                                                                                               Sul Sessantotto riporta una glossa di Agata Cancelliere, insegnante, la quale  evidenzia come esso abbia rappresentato la possibilità di verificare che cosa abbiano comportato  nel quotidiano e nelle coscienze le  due grandi novità: la Costituzione con i suoi ideali e il Concilio con le sue aperture. Non vi fu l’ auspicato sbocco politico delle istanze ma comunque negli anni settanta  furono  approvate importanti riforme, dal divorzio all’aborto, dal diritto di famiglia a punti qualificanti del diritto del lavoro.  Vi furono contrasti profondi fra un’area estremista e un’ampia area che conteneva  obiettivi  comuni superando divisioni ideologiche. I cattolici furono protagonisti  facendo emergere la centralità di percorsi di pace, il ruolo della responsabilità personale e la necessità di una  rifondazione dell’etica.                                                                                                                        Il testo si chiude con il famoso passo della Lettera di san Paolo ai Corinzi : “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e l’amore; ma di tutte più grande è  l’amore”.



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