Ognuno di noi ha un “mostro”, anzi, a volte sono molti. E, dopo l’arrivo del Covid l’ansia, la paura del futuro, l’angoscia di ammalarsi, l’insicurezza del presente sono diventati dei compagni fedeli delle nostre giornate. La psicoterapeuta e illustratrice Roberta Guzzardi (autrice dei disegni in alto), attraverso un illuminante e divertentissimo libro a fumetti, Io e (il) Mostro (Fabbri Editori, 16 €), ha dato vita e voce alla nostra parte più buia. E ci racconta com’è nato questo progetto e perché può essere utile a tutti dare un’occhiata a ciò che di noi preferiamo non vedere.
Chi è Mostro?
È la rappresentazione della mia ombra, di quella parte scomoda contro cui lottavo da una vita e con la quale non ero ancora riuscita a venire a patti. L’ho sempre rifiutata e censurata, poi ho capito che quel lato oscuro non era lì per sabotarmi, ma per aiutarmi, per farmi capire le mie fragilità, i miei punti deboli, per metterli a fuoco e sanarli. La questione allora non era il Mostro, ma la mia capacità di vederlo e di accettarlo. Facendolo diventare un fumetto poi, utilizzando un linguaggio diretto e immediato, ho pensato che avrebbe potuto aiutare tutti a vedere il proprio lato fragile, dolente e arrabbiato.
Come è nato questo personaggio?
Io sono di origine calabrese e, fin da piccola, volevo fare la fumettista. Così, appena ho potuto, mi sono trasferita a Roma per iscrivermi a una scuola di fumetti e, allo stesso tempo, ho iniziato a frequentare una scuola di comunicazione. Dopo tre anni sono iniziati i guai: non trovavo il mio stile ed emulavo quello di altri, così via via mi sono convinta di non essere brava e che quella era una falsa pista. Mi sono iscritta a psicologia, mi sono laureata e sono diventata una psicoterapeuta. Dopo 10 anni, mi è tornata la voglia di disegnare. Ho comprato una tavoletta grafica, ho aperto una pagina Instagram e Facebook e poi, durante il lockdown, è arrivato Mostro. La prima striscia è stata vista da 3 milioni di persone, così ho deciso di continuare…
Il Covid, quindi, è stato un innesco per far emergere quella parte più buia e poi rinascere?
Non solo per me, credo lo sia stato un po’ per tutti. Durante il lockdown ognuno di noi ha sperimentato sulla sua pelle le proprie debolezze: la fragilità delle relazioni, la paura, lo spaesamento, l’incertezza, la confusione, l’insicurezza, la rabbia e la solitudine. Insomma, il Mostro è uscito in tutto il suo splendore. Ora siamo ancora in una fase sospesa, ma sono fermamente convinta che sia anche ricca di opportunità. Se saremo abbastanza coraggiosi da guardare dritto in faccia la nostra ombra, poi ne usciremo rafforzati, più vivi e creativi.
Ma come si fa a riconoscere il Mostro?
Prima di tutto occorre dare credito alle emozioni negative: operazione non facile. Cercare cioè di osservare le parti che non elaboriamo: si palesano quando stiamo male. Sbalzi di umore, tristezza, rabbia, ma anche ciò che passa dal corpo attraverso una sintomatologia che ben conosciamo come il mal di testa, o il mal di schiena. Non ignoriamo queste emozioni sommergendoci di farmaci o di cose da fare. Cerchiamo invece di fermarci e di ascoltarci.
Nel suo libro spiega che quando arriva un’emozione particolarmente forte, possiamo chiederci: cosa sei? Perché sei qui?
Esatto. Ripensiamo magari al momento in cui si è scatenata e riflettiamo sulla causa che l’ha prodotta. Generalmente percepiamo di stare male e basta. Se invece cerchiamo di dare un nome a un’emozione, e quindi un’identità, acquisirà una sua dignità, la vedremo sotto un’altra prospettiva, e può darsi anche che cambi di segno perché i mostri arrivano sempre per insegnarci qualcosa. Prendiamo la solitudine, per esempio: durante il Covid ne abbiamo sofferto tutti, anche se magari eravamo in famiglia. È uno stato d’animo molto faticoso, e non dipende solo da noi, non possiamo smettere di essere soli senza l’altro, se siamo invisibili o non visti e riconosciuti da un partner, da un figlio, dagli amici. Fintanto che c’è, quindi, deve esserci una resa incondizionata: non dobbiamo trovare per forza il modo di superarla o eliminarla. Forse c’è un motivo perché è lì. E inoltre, solitudine significa anche libertà. Allora, dobbiamo dirci che questo sentimento ci sta regalando saggezza e opportunità. Proviamo ad ascoltarla con curiosità e a vedere cosa emerge.
Quindi riconoscere le emozioni significa integrarle e trasformarle da mostri in alleati?
Proprio così. La pandemia ci ha permesso di dare un senso all’insensato. La vita ci pone continuamente di fronte a sfide che spesso ci appaiono insormontabili. Ma se conosciamo i nostri punti deboli, siamo attrezzati per accettare e superare il lato imprevedibile dell’esistenza.
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