Rincaro prezzi, Avellino fra le città più care d’Italia

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L’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica delle città e delle regioni più care, e che hanno registrato i maggiori rincari annui per quanto riguarda i prodotti alimentari, gli unici che durante l’emergenza Covid sono stati effettivamente venduti, subendo pesanti rincari.

Unione Nazionale Consumatori: la classifica delle città più care

Il cibo è stato l’unico bene che, durante il lockdown, non ha subito crisi, ma è stato soggetto, invece, a pesanti rincari, pari allo 2,6%, con una maggior spesa annua di 145 euro per una famiglia media, 195 per una coppia con 2 figli, 175 per una coppia con 1 figlio, 95 per un pensionato con più di 65 anni.

Tiene bene la Campania

Anche nel territorio, solo 4 regioni (Campania +0,5%, Umbria +0,2%, Trentino +0,1% e Sicilia +0,1%) e 13 città sulle 70 monitorate registrano un’inflazione positiva, per quanto molto bassa (record per Grosseto, con +0,8%, seguita da Napoli con +0,7%). Ma per il cibo i rincari sono decisamente molto più alti, oltre che differenti a seconda della città.

I dati

Ecco perché l’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica delle città e delle regioni più care d’Italia dove il cibo (prodotti alimentari e bevande analcoliche) è più rincarato, elaborando i dati Istat dell’inflazione di maggio.

La classifica: Avellino al terzo posto

Ebbene, la città con i maggiori rincari alimentari è Caltanissetta, +6,4% su base annua, due volte e mezzo la media italiana, pari a +2,6%, città già in testa alla classifica di aprile con +5,7%. Al secondo posto, come lo scorso mese, Trieste, (+5,1%, era +5,3%) e al terzo Avellino e Trapani (+4,7% per entrambe). Le più risparmiose Siena, +0,2%, la città più virtuosa anche in aprile, a pari merito con Arezzo e Modena (+0,2%), segue al secondo posto Bologna (+0,3%) e al terzo Reggio Emilia (+0,4%).

Campania la terza regione più cara

Per quanto riguarda le regioni , il cibo più caro, in termini di aumento dei prezzi, si trova in Basilicata, +3,9%. Seguono Umbria, Lazio e Calabria (+3,4% per tutte), al terzo posto Campania e Sicilia (+3,3%). La regione migliore, l’Emilia Romagna, con un rialzo dei prodotti alimentari dello 0,9 per cento, poi Valle d’Aosta (+1,5%) e al terzo posto Veneto (+1,9%).

Le motivazioni secondo l’Unione Nazionale Consumatori

“Le disparità così ampie tra una città e l’altra, da +6,4% a +0,2%, in alcuni anche all’interno della stessa regione, possono avere varie motivazioni, ma la spiegazione più probabile è che, approfittando della ridotta mobilità del consumatore e, quindi, della minore possibilità di scelta, molti esercizi hanno alzato i prezzi e questo è stato maggiormente possibile in quelle città dove c’è minore concorrenza e non ci sono abbastanza forme distributive. Laddove il consumatore, invece, ha più alternative, tra ipermercati, supermercati, discount, negozi di vicinato, mercati, i rialzi, mediamente, sono stati più contenuti. Non è un caso se l’Antitrust proprio sui prezzi alimentari ha aperto un’indagine preistruttoria” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.


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