Sabino Battista: il fotografo galantuomo

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Di Monia Gaita

Sabino Battista era un fotografo che amava l’Irpinia, la sua natura e la sua gente. Aveva a cuore l’arte e non esisteva evento letterario o culturale che non lo vedesse presente. Aveva un registratore sempre acceso per ogni iniziativa: questo registratore era la macchina fotografica, la sua macchina fotografica che per lui era un’amica sacra da cui non si staccava mai. Lo ricordo in giro con un altro galantuomo della nostra terra, Antonio Di Gisi. Lo ricordo sorridente, cordiale, discreto, disponibile. Manifestava uno stupore da fanciullo davanti alle cose belle, e i suoi servizi fotografici, curati, attenti, perfetti, giungevano puntuali e graditi come un dono prezioso. A Sabino le fotografie non venivano pagate. Le scattava gratis e con gioia senza accorgersi che in quella passione stava costruendo con verità, credibilità e coerenza “il personaggio”. Sabino era e resterà “un personaggio”, un uomo carismatico e generoso per il quale le immagini raccontavano l’anima e i luoghi delle comunità. Fotografia è una parola di derivazione greca che nasce dall’unione di due termini: luce (φῶς, phṑs) e grafia (γραφή, graphḕ). Significa quindi: scrittura di luce. Sì, perché in Sabino Battista le immagini non erano statiche, ma dinamiche. Mobili raggi che illuminavano la carta e l’osservatore. Ricordo anche che Sabino aveva un difetto visivo, ma poi, a ben pensarci, non credo avesse una reale difficoltà di messa a fuoco. Il mondo che rappresentava non è mai stato sfocato. Non è mai stato indistinto e annebbiato. Le sue fotografie erano bellissime, sia in digitale che in stampa tradizionale. Non erano solo uno strumento per fissare le feste, gli spari, le mostre, le processioni, i convegni, i concerti, le presentazioni o i matrimoni. Erano un bacio alla vita, quella vita che lui ha amato con pienezza e fedeltà infinita.



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