sapeva guardare lontano – Corriere dell’Irpinia

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“Era un uomo che si buttava nella mischia, che non si sottraeva al confronto, profondamente immerso nella vita”. Così il vescovo di Ariano don Sergio Melillo ricorda don Ferdinando in occasione della presentazione del volume a lui dedicato al Polo giovani “Sulla strada degli ultimi” curato dalla diocesi di Avellino. “Don Ferdinando – chiarisce don Sergio – era un prete, una di quelle figure di cui ci sarebbe bisogno nella società attuale, capace di mettere da parte le proprie aspirazioni per dare corpo a un sogno. Ovunque possiamo toccare con mano le tracce reali di ciò che è stato. Era vissuto alla Ferrovia, sotto la guida di un pastore come il futuro vescovo Venezia. Era un uomo che sapeva guardare lontano, desideroso di dare uno slancio nuovo alla vita pastorale, tra i primi a comprendere le novità del Concilio, pronto a muoversi in territori sconosciuti, ad andare incontro agli altri. E’ stato un educatore che ha saputo accompagnare generazioni, costretto a fare i conti con polemiche inutili che lo accusavano di essere comunista, soprattutto dopo il suo viaggio in Russia o ancora a causa della scelta di far dipingere il Murale della pace. In realtà, era molto legato agli uomini della sinistra di base come De Mita e Mancino, ma era anche un prete rispettoso della gerarchie. Venezia lo volle nominare  vicario generale”.

Ricorda come “Don Ferdinando partiva sempre da esempi concreti di vita, alla Ferrovia si impegnò per realizzare la chiesa, l’asilo, il campo da calcio, conosceva i volti dei fedeli e li accompagnava verso la vita”. Nè Melillo dimentica come fosse anche “un uomo di preghiera, aveva conosciuto una rigida formazione nel seminario di Benevento ma aveva sempre cercato di rintracciare la vita nella sua attualità”. Un uomo capace di vivere appieno il proprio tempo “Era un docente alla ragioneria negli anni in cui si affacciavano le proteste del ’68 e seppe affrontare le istanze di cui si faceva portavoce. Una lezione che si contrappone alla sonnolenza che caratterizza il mondo di oggi. E’ stato un prete fino in fondo, che ha incarnato la storia della salvezza”.

Don Sergio consegna, poi, il ritratto di un grande comunicatore “mi invitava sempre in tv, tra i primi a comprendere la forza dei media per dialogare con i giovani. Devo a quelle ospitate se sono diventato meno timido e austero”. Spiega ancora come “Amava la pace, si è fatto interprete di un vero rinascimento della chiesa, non si faceva scoraggiare dalle difficoltà. Costante era il suo impegno a sostegno dei poveri, pronto a far fronte alle tante richieste di aiuto. Era un uomo che campeggiava per bontà e intelligenza ma è stato anche un costruttore, se pensiamo al Teatro d’Europa e alla Caritas”.

E’ il vescovo Arturo Aiello, che ha voluto fortemente quest’incontro, a ricordare come “Don Ferdinando era un passo avanti agli altri, capace di vedere ciò che agli altri era invisibile. E’ sempre rimasto con l’abito talare, pur avendo accolto le istanze che arrivavano dalla realtà contemporanea”. Spiega come “E’ singolare che un prete sia ricorso al teatro come strumento della propria pastorale. Aveva riconosciuto in esso un’occasione di crescita, di espressione di sentimenti altrimenti indicibili. Nelle testimonianze raccolte ritroviamo la sofferenza di non essere capito, l’uomo che si cala nella realtà, che va in Russia perchè vuole comprendere ciò che accade in quel paese, al di di filtri e mediazioni”. E spiega come questo volume nasce dal desiderio di salvaguardare la memoria “oggi bandita, come se nessuno interessasse nulla di ciò che è stato”.

E’ la sorella Teresa delle suore pastorelle a ricordare come “Mio fratello è stato un faro nella mia vita, ho avuto il privilegio di stargli accanto negli ultimi 18 mesi della sua vita. Era un uomo sempre aperto agli altri. Abbiamo profondamente bisogno, anche nella società di oggi, di persone come lui. La speranza è che possa aprire il cuore dei giovani perchè rispondano alla chiamata”. E’ quindi il direttore del Corriere dell’Irpinia Gianni Festa a soffermarsi sul legame stretto che lo univa a don Ferdinando “Quanto ci mancano le voci di sacerdoti come lui, don Michele o don Tonino Bello. Senza la loro testimonianza il nostro Sud sarebbe stato abbandonato al degrado. Ricordo che un giorno venne da me in redazione e mi disse “Vagliò, viri c’a fa’”, mi chiese di insegnare il mestiere del giornalista ad un ragazzo che veniva da una famiglia difficile. Oggi quel ragazzo è un grande giornalista. Abbiamo condotto tante battaglie insieme. Abbinava all’umiltà, il coraggio e l’attenzione agli ultimi, sempre pronto a far sentire la sua voce con il suo linguaggio asciutto e tagliente. Deve rappresentare, oggi più che mai, un esempio per i giovani”. Una cerimonia sobria e insieme toccante, quella dedicata a don Ferdinando, impreziosita dalla lettura dei versi di Camillo Sbarbaro da parte del giovane attore Juri e dalla Filumena interpretata da Angela Caterina



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