se il corpo è un nemico da combattere

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Sono soprattutto gli adolescenti a soffrire di dismorfismo, la distorsione dell’immagine di sé amplificata da insicurezze profonde e dal confronto con gli altri. Chi ha questo problema concentra l’attenzione su una specifica parte del corpo, come il naso, la pelle o il sorriso





Foto: iStock

di Elisa Capitani

Guardarsi allo specchio e vedere solo difetti, ingigantire ogni dettaglio, sentirsi inadeguati rispetto a un ideale. Per chi soffre di dismorfismo corporeo, il proprio riflesso non è mai ritratto della realtà, ma una distorsione di sé, amplificata da insicurezze profonde e dal confronto costante con gli altri. Un’ossessione, insomma, che trasforma la propria immagine in un nemico da combattere.

Il dismorfismo rientra nella categoria dei disturbi ossessivo-compulsivi: è infatti una condizione psicologica caratterizzata da una percezione distorta del proprio aspetto. I pensieri negativi sull’aspetto diventano così forti da generare ansia, depressione e isolamento sociale. In Italia, la prevalenza del disturbo da dismorfismo corporeo è stimata tra il 2,5% nella popolazione generale e di questo il 77% ha ripercussioni nella vita quotidiana. 

A differenza dei disturbi alimentari, nei quali l’alterazione dell’immagine corporea è più generalizzata, chi soffre di dismorfismo concentra l’attenzione su una specifica parte del corpo, come il naso, la pelle o il sorriso.

Un ideale di perfezione irragiungibile

«Il 36% delle donne dichiara di non avere un rapporto sereno con il proprio corpo, insoddisfazione che può evolvere in disturbo da dismorfismo corporeo», ha sottolineato la dottoressa Ameya Gabriella Canoni durante un convegno organizzato da Saugella per lanciare l’edizione limitata dei detergenti Younique, con l’obiettivo di sensibilizzare i più giovani sul tema del dismorfismo e promuovere un’idea di bellezza autentica.

All’evento ha partecipato anche la modella e influencer piemontese Carlotta Bertotti, che ha raccontato il suo processo di accettazione del Nevo di Ota, malattia benigna della pelle che le copre parte del viso e si estende anche all’interno dell’occhio sinistro; una cosiddetta “voglia”, che si è sviluppata quando aveva otto anni.

La sua infanzia, com’è facile immaginare, è stata tutt’altro che spensierata: Carlotta è stata in terapia fin da bambina e ha raccontato che la sua prima carnefice era proprio lei stessa. Non vedeva intorno a sé persone con le sue stesse caratteristiche, si sentiva diversa, sbagliata, era convinta di non essere abbastanza. Per coprire la “voglia” ha cominciato a usare il trucco, un vero e proprio strumento di sopravvivenza, che la aiutava a non sentirsi troppo esposta allo sguardo e al giudizio degli altri.

A 18 anni, durante il viaggio di maturità, per la prima volta, fa il bagno in mare, senza trucco. «La vita è troppo breve per essere vissuta nel timore del giudizio degli altri», dice. Inizia così a condividere la sua esperienza sui social, per essere d’aiuto a chi non si accetta e non si ama, come fa lei. Nel tempo, è riuscita a trasformare la sua unicità in un messaggio di libertà e di forza, e continua a farlo ogni giorno.

Il ruolo della società e della famiglia

Il dismorfismo non nasce solo dall’insicurezza personale, ma anche dalle pressioni esterne. «Pensiamo, per esempio, a come le aspettative estetiche inizino già nell’infanzia: alle bambine viene spesso detto quanto siano belle, mentre ai maschietti si chiede di essere forti. O ancora a certi commenti che a volte si sentono in famiglia: “noi Rossi abbiamo le orecchie a sventola”. Sono frasi che contribuiscono a costruire un’idea di sé basata sul confronto con gli altri, e il rischio è quello di sviluppare un’autostima fragile», dice la dottoressa Canovi.

E ancora, i social: le immagini modificate e i filtri creano standard di bellezza irraggiungibili, spingendo molte persone a sentirsi inadeguate e, più in generale, evidenziando come la continua esposizione a volti perfetti e corpi scolpiti influenzi la percezione di sé. «Per questo è importante educare i più giovani a sviluppare un senso critico rispetto ai contenuti digitali, per prevenire l’insorgere di disturbi legati all’autostima. È importante educare a sviluppare la propria autenticità», sottolinea l’esperta.

 «Spesso chiediamo gli occhi del mondo perché abbiamo perso i nostri per guardarci. E quello che vediamo molte volte ci pare storto, non conforme. Occorre recuperare prima di tutto uno sguardo accogliente verso noi stessi. Solo così potremo vederci come esseri armonici, interi e vibranti. Unici».

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