Sindrome del dente fantasma: che cos’è e come si cura

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Immagina di svegliarti con un dolore pungente in corrispondenza di un dente che hai tolto e che quindi in bocca non c’è più. O che magari hai devitalizzato, per cui non dovrebbe più trasmettere gli stimoli dolorosi. È la sindrome del dente fantasma, un disturbo dove chi ne soffre sente fastidio e dolore a carico di un dente mancante o, comunque, correttamente trattato. Ma com’è possibile? Si tratta di una condizione simile a quella che colpisce il 5-10 per cento dei pazienti che subiscono l’amputazione di un arto: dopo l’intervento, continuano ad avvertire in quella zona sensazioni come caldo, freddo, prurito, dolore, rigidità o formicolio. Lo stesso può accadere a livello del cavo orale: qui, a differenza del normale dolore ai denti, il fastidio è costante (non intermittente) e la sua intensità non è influenzata dal consumo di bevande o cibi caldi oppure freddi, né dal digrignamento e neppure dalla masticazione.

Cos’è la sindrome del dente fantasma

Nel 1976, è stato il dottor Joseph J. Marbach (un docente americano, leader nel campo del dolore facciale) a parlare per primo di questo problema, definendolo come “la percezione di un fastidio/dolore dentale non meglio definito anche quando il dentista non evidenzia alcuna irregolarità”. «Esistono due forme di questa sindrome: la più nota è la disestesia, mentre meno diffusa è l’odontodisplasia regionale», illustra il dottor Lino Giordano, odontoiatra presso la Dental Unit di Tiberia Hospital di Roma. «La prima deriva il suo nome dalle parole greche “dys”, anormale, e “aesthesis”, sensazione. Talvolta indicata con la sigla DPDA, acronimo di dolore persistente dento alveolare, la disestesia è un dolore neuropatico causato da una disfunzione del sistema nervoso periferico. Nella pratica, è come se le terminazioni nervose inviassero continui segnali al cervello del paziente, dicendogli che deve provare dolore».

Quali sono le cause

Di solito, la disestesia insorge dopo un ciclo di cure odontoiatriche di tipo conservativo, come la classica otturazione, oppure di tipo chirurgico, come una devitalizzazione oppure un’estrazione. «A seguito di uno di questi tre interventi, può accadere che il paziente ritorni dal dentista lamentando di avvertire lo stesso dolore precedente al trattamento, ipotizzando che il persistere del problema sia dovuto a terapie eseguite in modo errato o incompleto», riferisce il dottor Giordano. «In realtà, solo nel 5 per cento dei casi c’è un effettivo problema, dovuto per esempio a un nervo periferico che è stato “toccato” durante il trattamento canalare o l’estrazione, mentre nel restante 95 per cento dei casi si tratta di un fattore psicologico».

Come si diagnostica

La disestesia può manifestarsi sotto forma di formicolio oppure di vero e proprio dolore, simile a quello provato prima della cura odontoiatrica, che però non corrispondono ad alterazioni fisiche rilevabili. Il fastidio può iniziare in un’area precisa, ma può anche diffondersi in altre parti della bocca e persino alla mascella. Di fronte alla sofferenza lamentata dal paziente, l’odontoiatra deve eseguire un controllo radiografico per escludere la presenza di residui radicolari a seguito dell’estrazione, di ascessi o fratture post-devitalizzazione, di altri segni clinici che rendano necessario un nuovo trattamento.

«Talvolta, dai controlli può emergere una problematica diversa, come una sinusite mascellare, che giustifica il dolore avvertito nel distretto oro-maxillo-facciale. Se non si evidenzia nulla, invece, il motivo del disagio può essere semplicemente fisiologico: come qualsiasi altro intervento chirurgico, anche quelli del cavo orale necessitano dei giusti tempi di recupero, in cui la bocca deve ritrovare un equilibrio e abituarsi alla nuova situazione».

 

L’odontodisplasia regionale

Si parla di sindrome del dente fantasma anche nel caso dell’odontodisplasia regionale, meno diffusa ma comunque presente in un bambino su cento. «Qui c’è un’anomalia dei tessuti ectodermici e mesodermici del dente, che può riguardare sia l’arcata superiore sia quella inferiore e che colpisce soprattutto il genere femminile. In questo caso, il dente viene definito “fantasma” perché non si vede: il soggetto ne presenta uno in più rispetto al numero normale, più piccolo rispetto agli altri elementi dentali e quasi sempre nascosto sotto la gengiva», spiega l’esperto.

«È importante diagnosticare tempestivamente il problema perché i denti fantasma sono sovrannumerari, cioè eccedono la formula dentaria normale, si sviluppano tardivamente e restano incastrati nei mascellari inferiori o superiori. A quel punto, oltre a dare origine a problemi estetici, possono pregiudicare eventuali cure ortodontiche per movimentare la dentizione e correggerne eventuali disarmonie».

Come si tratta la sindrome del dente fantasma

Spesso, sul web, capita di leggere che l’unico trattamento possibile per i denti fantasma è farmacologico a base di antidepressivi, anticonvulsivanti o narcotici, che talvolta possono essere integrati con trattamenti non farmacologici, come l’agopuntura. «Si tratta di un grande errore», tiene a precisare il dottor Giordano. «Al massimo, se l’odontoiatra si accorge che il paziente è particolarmente ansioso e potrebbe nascondere un disagio psicologico dietro un dolore dentale persistente, il consiglio potrebbe essere quello di rivolgersi a un neurologo oppure a uno psicologo per trovare sollievo in eventuali farmaci, sempre da assumere sotto stretto controllo medico e alle giuste dosi per evitare di cadere nella dipendenza».

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