Di Virginia Carrella
Ci sono immagini così invadenti e memorabili, da penetrare nella memoria di chi le osserva e non uscirne più. Immagini simbolo di una lotta, un momento storico, un sentimento profondo che diventano rumorose e pensanti come parole.
“La Ragazza Afgana” è il nome dell’iconica fotografia del fotografo Steve McCurry, pubblicata come copertina del National Geographic Magazine del 1985, che simboleggia, tutt’ora, le vicissitudini e i conflitti della fase storica che l’Afghanistan e il suo popolo stavano attraversando al momento dello scatto.
Era il dicembre del 1984 quando passeggiando per il campo Nasir Bagh, il fotografo sentì delle voci provenire da una tenda adibita a scuola. Una volta ottenuto il permesso di fotografare l’intera classe dall’insegnante, venne catturato soltanto dagli occhi magnetici di Sharbat.
La allora 12enne non era mai stata immortalata prima di quel momento, “Quando ho cominciato a fotografare Gula, non ho sentito e visto nient’altro” disse il McCurry. Orfana dall’età di sei anni, i genitori erano stati uccisi durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, è diventata così il volto di una tragedia umanitaria, quella dei profughi afgani fuggiti in Pakistan dopo l’invasione sovietica.
“Ho saputo all’istante che questa era veramente l’unica foto che volevo scattare”, uno scatto divenuto tra i più celebri del Novecento, un’icona planetaria. Eppure, la stessa fama non è mai stata riconosciuta a quella che per molti è nota come la “Monna Lisa Afgana”: l’identità della bambina dagli occhi verdi intensi e inquieti che bucano l’obiettivo, è stata nascosta per oltre 15 anni, fino al 2002, anno in cui, a seguito del culmine del dominio talebano, una squadra del National Geographic rintracciò la donna che si era sposata vicino a Kabul. Dopo un lungo viaggio, McCurry tornò in Afghanistan e incontrando Sharbat riscontrò, nella ormai trentenne, lo stesso magnetismo che lo aveva travolto 18 anni prima: “La sua pelle è segnata, ora ci sono le rughe, ma lei è esattamente così straordinaria come lo era tanti anni fa”.
Nell’ultimo mese, Sharbat Gula ha occupato nuovamente le testate giornalistiche e le notizie di attualità: 48 anni e madre di quattro figli, dopo la salita al potere dei Talebani, aveva lanciato un appello per scappare dall’Afghanistan e trovare rifugio in altri stati, trovando riscontro anche nel Governo Italiano.
“È un sogno divenuto realtà”, queste le parole di Bonnie McCurry, sorella del fotografo, “tra tutte le nazioni del mondo che avrebbe potuto scegliere, lei ha scelto l’Italia! Sharbat è estremamente grata al popolo italiano e anche tutti noi non possiamo che ringraziare il governo italiano per il suo supporto e la generosità”.
Una richiesta che il governo italiano ha deciso di non ignorare, occupandosi del suo trasferimento: “È giunta a Roma la cittadina afgana Sharbat Gula”, informa in una nota la presidenza del consiglio dei ministri il 25 novembre, dopo che Palazzo Chigi ne aveva organizzato l’espatrio e il trasferimento grazie al “programma di evacuazione dei cittadini afghani e del piano del governo per la loro accoglienza e integrazione”.
La vita di Sharbat è stata piuttosto inusuale per una donna dalla notorietà planetaria come la sua. “L’Afghanistan è solo il mio luogo di nascita, ma il Pakistan era la mia patria e l’ho sempre considerato il mio paese”, per questo motivo, nel 2016 viene arrestata con l’accusa di aver falsificato i documenti per espatriare in Pakistan. Viene espulsa e rimandata in patria, dove il governo si impegna a darle una casa e mezzi di sostentamento. Dopo il ritorno dei talebani al potere, arriva la richiesta di soccorso accolta dal Governo Italiano.
L’arrivo della ‘Monna Lisa afgana’ è stato possibile grazie a una mobilitazione internazionale. “Una vera benedizione e la missione di salvataggio è stato un lavoro di gruppo fin dall’inizio”, sottolinea sempre Bonnie. I McCurry per arrivare all’obiettivo hanno chiesto aiuto, oltre che al nostro governo, ad una serie di associazioni internazionali no-profit.
Lo scorso Maggio, il grande fotografo di Philadelphia, parlando dell’Afghanistan, aveva dichiarato: “Prima o poi in futuro tornerò, andrò per vedere com’è cambiata la vita lì.”
Finalmente un gesto di solidarietà che faccia risuonare il nome della nostra patria come exemplum sul panorama internazionale, finalmente una notizia positiva di accoglienza e generosità che bilancia lo sfrenato odio razziale che pervade la nostra penisola e la non tolleranza nei confronti delle persone che possiedono solo la voce per urlare aiuto. Tutto ciò si aggiunge poi all’ironica soddisfazione e senso di appagamento nel rivedere, dopo tutto, in un certo qual senso, la Monna Lisa a casa nostra.
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