Sviluppo sostenibile, il vescovo Aiello: trasformare gli spazi in luoghi

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“Trasformare gli spazi in luoghi perchè chi parte abbia almeno il desiderio di tornare. E’ quello che ha cercato di fare la Chiesa di Avellino con il parco Palatucci, riqualificando un bene pubblico per restituire germi di speranza, perchè la nostra umanità tornasse ad accendersi di vita, magari a partire dal ricordo di un bacio scambiato in quel parco”. Lo sottolinea il vescovo Arturo Aiello nel corso del convegno su “Biodiversità e sviluppo sostenibile”  promosso dall’associazione Fausto Addesa, presso il Palazzo Vescovile e moderato dal giornalista Pierluigi Melillo.  L’invito che lancia Aiello è rivolto a ciascuno di noi “perchè si impegni nel proprio fazzoletto di verde”. Spiega come “la sfida è intravedere soluzioni possibili che consentano di conciliare lavoro  e ambiente, bene materiale e futuro del globo. Le alluvioni che si sono registrate in Italia ci avvertono che l’equilibrio del pianeta è in crisi. Ed è evidente che tante difficoltà che oggi viviamo sono legate scelte scellerate. L’importante è non guardare al bene immediato ma pensare al futuro, perchè la ricerca del bene immediato può causare anche effetti indesiderati”. Sottolinea come l’impegno della Chiesa per le aree interne che nasce dall’attenzione per l’uomo abbia almeno sortito effetti importanti “sul piano della coscienza da parte dei pastori di un impegno comune. Ogni anno si riuniscono vescovi di diocesi di tutta Italia che non avremmo mai immaginato come parte delle aree interne”. Ringrazia l’associazione Fausto Addesa, “Sono qui perchè  mi piace sempre incoraggiare chi rappresenta un esempio di cittadinanza attiva, quella cittadinanza attiva che troppo spesso manca e che determina uno scadimento della politica”. E ricorda con commozione le ultime parole pronunciate da Fausto “Erano parole di speranza da parte di chi concludeva il suo viaggio e avevano perciò un valore più forte”.

La docente Angela Cresta sottolinea la necessità di invertire lo sguardo sulle aree interne “Da geografa lavoro sulle comunità. Non si può parlare di sviluppo sostenibile, senza pensare alle comunità composte da chi resta sui territori, di qui la necessità di sollecitare ad un’attenzione maggiore ai bisogni della comunità, di riqualificare la restanza”. Chiarisce come “parlare di turismo delle aree interne a proposito dell’Irpinia non è corretto. Non siamo una destinazione turistica ma abbiamo una vocazione che può essere alimentata. Abbiamo potenzialità che possono rispondere alla domanda di turismo ma a patto di lavorare sulle comunità, sulla carenza di strutture e sull’abbandono dei territori da parte di chi resta, su quel senso di disaffezione verso le nostre comunità dovuta anche ad una mancanza di qualità della vita. Solo allora potremo giocare la carta dell’attrattività residenziale e turistica”. Sottolinea come “Siamo abituati a guardare a una dimensione quantitativa dello sviluppo, a partire dai servizi che sono sempre in funzione della domanda. E se la domanda è carente saranno carenti anche i servizi con pochi ospedali, poche scuole e trasporti poco efficienti. Ma è chiaro che bisogna puntare sulla qualità. L’approccio della Snai è stato relegato in un angolo a fronte di una progettualità imposta dall’alto come quella del Pnrr. La sfida è valorizzare le risorse che abbiamo, cercando di trovare un equilibrio tra il nostro patrimonio e la domanda che arriva dal mercato. Se cambia il nostro sguardo possiamo persino immaginare che le pluriclassi, frutto dell’accorpamento dei plessi scolastici nei piccoli centri, possa essere l’opportunità di attuare una didattica innovativa, possiamo disegnare spazi di innovazione e resilienza. Una sfida che si affianca a quella di incrociare lo sguardo, superando l’individualismo”. Ricorda come “al di là degli aspetti paesaggistici e ambientali, l’Irpinia può contare su un grande patrimonio enogastronomico che ci permette di lavorare su vocazioni territoriali, a partire da domanda di turismo enogastronomico”. E ricorda l’esempio di Oscata dove la riqualificazione e valorizzazione del borgo è partita da un’associazione guidata da irpini che hanno lasciato Bisaccia ma che non hanno mai reciso il legame col territorio.

E’ Antonio Limone a lanciare l’allarme sul futuro delle biodiversità costrette a fare i conti con il cambiamento climatico. “L’obiettivo è quello di recuperare e valorizzare le piccole produzioni locali, ma dobbiamo innanzitutto difenderle, come dobbiamo tutelare la risorsa acqua. Se non ci organizziamo in tempo, abbiamo poche possibilità di rendere appetibili le nostre aree interne. Serve una strategia, mettere insieme idee e forze, non si può andare avanti da soli, occorre l’impegno della politica che consenta di indirizzare l’uso degli strumenti offerti dalle nuove tecnologie, a partire dall’intelligenza artificiale verso la tutela delle produzioni locali. Sviluppo sostenibile significa ripartire dal recupero dei borghi, dalla vivibilità dei paesi ma soprattutto dalla qualità delle produzioni”.

L’avvocato Annamaria De Stefano sottolinea l’importanza per le imprese di strumenti come il bilancio di sostenibilità che consentono di mettere in reste le esperienze e promuovere differenti forme di collaborazione tra coltivatori e imprenditori, trasformazioni dei prodotti sul luogo, risparmio negli spostamenti ma anche la necessità di una educazione al rispetto dell’ambiente per chi opera nella filiera agricola e di investimenti nella ricerca per tutelare un ecosistema ricco. Il consigliere di opposizione Amalio Santoro si sofferma sul lavoro che porta avanti l’associazione nel segno di un cattolicesimo democratico che lega fede e storia. Sottolinea l’assenza di interventi mirati nelle politiche di sviluppo, la mancanza di cura dei territori, la solitudine di chi opera nelle comunità, senza poter contare, molto spesso, sul sostegno di enti come la Camera di Commercio, Provincia o Regione. E’ chiaro che bisogna cambiare direzione con la consapevolezza che non partiamo da zero e che non ci si salva da soli”








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