Certe notizie “possono far cambiare decisamente rotta alla propria vita, inducendo alla depressione. Allo sconforto. O, addirittura, al vittimismo”. A scriverlo nel suo libro La bellezza dell’imperfezione (Lead Edizioni) è la dottoressa Cristina Sartorio, medico estetico, esperta in scienze della nutrizione e referente per il Piemonte della Società italiana di chirurgia e medicina estetica, che ad aprile 2021 ha scoperto di avere un tumore al seno. Lei, però, a quello sconforto non ha ceduto, perché – dopo i primi attimi di smarrimento – si è domandata: “In che modo posso assumere un comportamento funzionale per guarire nella miglior maniera possibile, e soprattutto più veloce, così che questa mia condizione non influenzi la mia famiglia, il mio lavoro e il mio stato psichico?”.
Prenderla con filosofia, come si suol dire, non è stato facile. Ma è stata la strada maestra per affrontare l’intero percorso.
Dottoressa Sartorio, come ha scoperto di avere un tumore al seno?
Come accade a moltissime donne: in un giorno qualunque, sotto la doccia. Ho sentito una strana “pallina” sottopelle e ho subito capito. La mia sensazione è stata confermata dai controlli, perché è emerso che una mammella era tempestata di lesioni tumorali: una di 9 millimetri, una seconda di 3 millimetri e poi altre sei. Dieci mesi prima avevo messo le protesi al seno: era il mio desiderio da anni, perché dopo tre allattamenti sognavo di rivedermi con un aspetto più sodo. Ciò significa che avevo fatto tutti i controlli di routine e non era emerso nulla, stavo bene. In un certo senso, la diagnosi è arrivata come un fulmine a ciel sereno.
È vero che il suo libro La bellezza dell’imperfezione è nato in corsia?
Sì, ho scritto le prime righe in una camera d’ospedale, due ore prima di entrare in sala operatoria per affrontare un intervento di mastectomia. In realtà, l’idea di scrivere un libro era già in programma, perché rappresentava il completamento di un percorso di coaching, iniziato tre anni prima. Mentre ero in attesa, avvolta in una sensazione di tempo infinito e sospeso, ho sentito la necessità di usare la scrittura come atto terapeutico: non soltanto per me stessa, ma anche per chi eventualmente mi avrebbe letta e stava attraversando il mio percorso.
Quindi, la malattia ha cambiato il suo progetto iniziale?
Completamente. L’intento era quello di creare un “vademecum di sopravvivenza” per affrontare un mondo sempre più legato ai concetti di apparenza e perfezione. Ma a poche ore da un intervento come la mastectomia, che comporta una menomazione fisica e ha comprensibilmente un impatto psicologico molto forte, l’orientamento del libro è cambiato.
Cos’ha mantenuto?
La struttura di base, fondata sulle “5A”che per me sono fondamentali per una pelle bella e sana: allenamento, amore, atteggiamento, alimentazione e alleati. L’allenamento consiste nel trasformare la skincare quotidiana in un’abitudine leggera, fatta di gesti semplici e ripetuti. L’amore per noi stessi, invece, è quello che dobbiamo coltivare ogni giorno per smuovere il cambiamento e raggiungere obiettivi importanti in qualsiasi ambito della vita. Gli atteggiamenti e gli alleati, poi, sono quelli che bisogna imparare a valorizzare per affrontare con appagamento le giornate. Infine, l’alimentazione giusta può aiutarci a mantenere una pelle in salute, riducendone l’invecchiamento.
E cosa, invece, ha cambiato?
Ho aggiunto un’ulteriore A, quella di accettazione. Oggigiorno, soprattutto fra le nuove generazioni, accettare la propria imperfezione non è facile. Eppure siamo umani, è normale che qualcosa non sia oppure non vada come vorremmo. E invece vorremmo sempre la bacchetta magica per cambiare tutto quello che non ci piace, soprattutto a livello fisico. Basta un brufolo sul viso per scatenare una tragedia, perché ci rende vulnerabili, mettendo in discussione il nostro valore. Mi è capitato più volte di incontrare giovani donne che hanno addirittura rinunciato a colloqui di lavoro, perché quel giorno il loro volto era imperfetto: credevano di essere valutate sulla scorta del loro aspetto e di andare incontro a una penalizzazione per colpa di un piccolo inestetismo. La verità è che, se da un lato è giusto guardarsi allo specchio e piacersi, è altrettanto importante avere un buon livello di consapevolezza e di autostima.
È difficile trovare un aspetto positivo del cancro. Lei ci è riuscita?
Sì, questa esperienza mi ha permesso di sentirmi amata. Sin dall’inizio, ho condiviso il mio percorso sui social sia per alleggerire il mio fardello di affanni sia per far sentire meno sole altre donne nella mia stessa condizione. In cambio, ho ricevuto un amore incondizionato e difficile da spiegare a parole: messaggi di incoraggiamento, consigli, testimonianze, racconti personali.
Quindi condividere la propria esperienza è importante in un percorso oncologico?
Credo sia fondamentale. Raccontarsi innesca un circolo virtuoso, fatto di storie che si incrociano e dove qualche dettaglio può arricchire anche la tua esperienza. Magari puoi trovare quella parola di cui, in quel preciso momento, hai veramente bisogno. Oppure un’esortazione ad affrontare quella visita in maniera più positiva.
Lei ha tre figli: ha condiviso la sua esperienza anche con loro?
Sì, raccontando la malattia in tre modi diversi. Al momento della diagnosi, i miei bambini avevano 3, 7 e 9 anni. La counselor della scuola mi aveva consigliato la lettura di un libro che aiuta gli adulti a parlare del cancro ai più piccoli, rispettando la loro sensibilità. Così, ho detto al più piccolo di una pallina che era cresciuta nel seno della mamma e che andava rimpicciolita, mentre con gli altri due ho approfondito di più l’argomento, sempre in base alla loro età. Non aver negato loro la verità è stato importante, anche durante la convalescenza post intervento: addirittura, non hanno voluto che mi avvalessi di un’assistenza infermieristica, perché si sono occupati loro delle medicazioni, di svuotare i drenaggi, di accompagnarmi in bagno la notte, di fare le iniezioni di eparina.
Qual è stato il momento più toccante?
Dopo l’intervento non ho dovuto affrontare la chemioterapia, ma per un certo periodo i medici sono stati in dubbio se prescrivermela o meno. In quel limbo di incertezza, la mia bambina di 9 anni mi ha detto: “Mamma, non ti preoccupare. Se ti dovessero cadere tutti i capelli, me li taglio a zero come te”. So che lo avrebbe fatto davvero. Quel pensiero mi ha toccata nel profondo.
Ne ha parlato anche con i suoi genitori?
Quello è stato complicato. È stato difficilissimo comunicare la notizia al mio papà, ma altrettanto lo è stato con la mia mamma: quando ho scoperto di essere malata, non la vedevo da cinque mesi, perché era ricoverata in ospedale e si trovava in isolamento per via del Covid. Ho dovuto affrontare tutto da sola, senza dirle nulla, perché non volevo destabilizzarla e darle una notizia del genere da lontano, senza poterla vedere. Lo ha saputo solo dopo la mastectomia, quando sono andata a trovarla insieme a una psicologa per trattare l’argomento nel modo giusto.
Quanto è importante continuare a sentirsi belle nella malattia?
Sto lavorando molto per lanciare un nuovo progetto in Piemonte, proprio per aiutare le donne a prendersi cura di sé anche nella malattia. La stessa medicina estetica può venire in aiuto, anche durante i percorsi chemioterapici o radioterapici: ci sono terapie che si possono sfruttare non solo sul volto ma anche sulle cicatrici, che non vanno per forza cancellate, ma attutite nell’aspetto e nel ricordo.
Ci sono addirittura studi scientifici che dimostrano come l’autostima alta possa favorire la guarigione…
Sono d’accordo. Se ci vediamo belle quando ci guardiamo allo specchio, questo smuove degli ormoni nel corpo e ci fa stare meglio anche a livello fisico. La bellezza non è solamente questione di vanità. Tutt’altro.
Oltre alla perdita dei capelli e delle sopracciglia, gli effetti collaterali più noti, quali sono gli altri problemi estetici che possono attanagliare una paziente oncologica?
Principalmente la perdita di elasticità cutanea e di volumi, specie quando c’è un dimagrimento. In poco tempo, capita di vedersi invecchiate, non ci si riconosce più. In quel caso, è possibile intervenire con delle infiltrazioni di acido ialuronico, vitamine e sali minerali che vanno a ricompattare la pelle, regalando un aspetto più sano e meno malato.
C’è ancora posto per la paura nelle sue giornate?
Certo. E la accolgo, come qualsiasi altra emozione. È normale avere paura, non bisogna vergognarsi. L’importante è non lasciarsi sopraffare. Sono ancora nel bel mezzo di questo percorso e ad ogni controllo mi accompagna la paura che emerga qualcosa di nuovo.
Ora in che capitolo è della sua vita?
In quello dove cerco di godermi ogni attimo, ogni sensazione, ogni esperienza. Cerco di dare più ascolto a me stessa, di soppesare bene cose, di guardare alla vita con meno superficialità. La malattia mette tutto al posto giusto e ridimensiona ciò che prima spaventava, bloccava o faceva arrabbiare. Toccando con mano la precarietà della vita, impari a non sprecare neanche un momento. Per certi aspetti, il cancro insegna che dobbiamo vivere con più leggerezza e meno pesi sul cuore, apprezzando ogni giorno nella sua piccola o grande imperfezione.
28 ottobre 2023
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