Se c’è una parola che ci rincorre da sempre nelle nostre giornate, ci rende perennemente agitati, ci mette costantemente alla prova questa è organizzazione. Di fronte a lei, alla sua capacità di tirarci su o giù – dipende dagli esiti prodotti – ci inchiniamo un po’ tutti perché ci sgomenta non essere all’altezza di cotante aspettative: ordine, puntualità, fluidità di ritmi di vita.
Per fortuna il professor Franco Fraccaroli, che insegna Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso i Dipartimenti di Psicologia e Scienze cognitive e Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, ha dato nel suo nuovo saggio Sapersi organizzare (ed. Il Mulino, 12 €) un’altra veste, più morbida e personalizzata, a questa facoltà. E più che come di un metodo schematico di lavoro ne ha parlato come di uno strumento conoscitivo duttile: tutti lo possono apprendere e usare a loro piacimento, per regolare il proprio agire. Per dare forma (e concretezza) a proattività, iniziativa e autodeterminazione personale.
Quanto è importante sapersi organizzare?
Oggi molto, perché sono diversi gli ambiti della vita in cui siamo chiamati a fare scelte in prima persona: nella scuola, lavoro, casa, coppia e tempo libero gli aspetti discrezionali, autonomi e flessibili sono cresciuti rispetto al passato.
Con quali risultati?
Le persone hanno margini di libertà più ampi ma anche maggiori responsabilità che vanno, appunto, organizzate, per essere efficaci. Al lavoro: decenni fa, il dipendente veniva accompagnato dall’azienda in un percorso di anzianità professionale, adesso spazi e tempi della nostra esperienza lavorativa sono meno governati in modo rigido da orari, capi e formazione standard. Oggi le occupazioni stanno diventando sempre di più virtuali, mobili e autoregolate, al punto tale che alcuni psicologici dicono che nel domani vedremo “sempre meno persone nelle organizzazioni” e “sempre più organizzazione nelle persone”. In famiglia: una volta c’era quella per la vita, ora si cambiano più partner, con tutte le conseguenze del caso. Nelle attività ricreative: prima l’attenzione era minima mentre di questi tempi è ambito di accurata self organization.
Cos’è per lei la capacità di pianificare?
A mio avviso, s’identifica essenzialmente con il saper usare al meglio la nostra personalità, la nostra identità per riuscire a elaborare il futuro. I progetti, infatti, nascono dentro di noi e si sviluppano in base agli elementi strutturali della nostra mente. Ciascuno di noi è fatto in un certo modo, e queste caratteristiche ci dirigono verso alcune scelte invece che altre. Perciò, organizzarsi significa fare programmi che vanno in quella direzione.
Quindi, l’organizzazione è soprattutto espressione d’individualità?
Sono tante possibilità di autoesprimersi, segnali di libertà nel complesso positivi. In fondo, creare piani sul lungo termine significa proiettarsi nel futuro con l’intenzione di diventare migliori. Ecco perché è importante sapersi organizzare: permette di avvicinare il sé reale (quello che sono adesso) al sé ideale (quello che vorrei essere). E questo in qualsiasi situazione, anche solo preparare un viaggio per scoprire un’altra cultura. Al ritorno, saremo “cresciuti” in quanto abbiamo conosciuto qualcosa in più.
Ma come ci si avvicina al proprio sé ideale?
Per esternare al meglio la propria personalità, bastano pochi disegni di ampio respiro, ma significativi. Rientrano in questa categoria i percorsi di studio non tanto per il titolo ma per l’arricchimento culturale, i sacrifici che dobbiamo sostenere per migliorare la nostra posizione lavorativa, l’impegno che serve per mantenere il rapporto di coppia e crescere i figli. Poi certamente, è importante anche sapere predisporre la propria vita quotidiana, e qui c’entra la capacità di saper gestire il tempo, ascoltare gli altri e decidere quando un proposito va portato avanti o abbandonato perché non ce la facciamo più a sostenerlo.
L’organizzazione, quindi, non è una performance e neppure un metodo?
Non esiste un modello universale per cui imparo o mi faccio insegnare da qualche esperto a essere un buon coordinatore. La cosa principale è essere in grado di riflettere sulle proprie progettazioni. Le domande da farsi sono: “ho le risorse per portare avanti questa impresa?”; “So perseverare per anni? È veramente ciò che riflette il mio essere?”; “Ho le persone a fianco che mi potrebbero aiutare in caso di difficoltà?”; “Se dovessi fallire, che prezzo sono disposto a pagare in termini personali?”. Questo è il sapersi organizzare secondo me, al di fuori degli schemi formali di risultato e ordine.
L’organizzazione, in poche parole, s’alimenta di riflessione?
Sì, a tutte le età la vita pretende che facciamo delle scelte. E, quindi, bisogna mettersi nelle condizioni di ragionare su quanto gli scenari futuri possono essere coerenti o in contrasto con noi stessi. Siamo in dubbio se andare in pensione o meno? Prima, consideriamo bene se possiamo riuscire a riempire lo spazio lasciato libero dal lavoro con una certa dinamicità, altrimenti è la rovina. Sapersi organizzare, in questo caso, è saper alimentare la svolta e sapere cosa metterci dentro.
Si nasce o si diventa organizzati?
Non è una forma di apprendimento nel senso puro del termine, ma una forma di maggiore consapevolezza: capire ed evidenziare gli aspetti importanti della nostra esistenza, i nostri limiti e trarne degli input d’orientamento. E da questa analisi che si può imparare… Per riuscirci è necessario stare in contatto con noi stessi, avere un buon margine di flessibilità e darsi degli obiettivi.
Parliamo di obiettivi: quali sono quelli giusti?
Basta che siano equilibrati, solo leggermente al di sopra delle nostre capacità. E sempre inquadrati in un disegno più complesso: questo per dire che un risultato anche piccolo ma che ci permette di avvicinarsi al nostro scopo va sempre apprezzato. Ma, soprattutto, evitiamo di fissarci solo con i traguardi, perché così facendo danneggiamo la nostra creatività e serenità. Non è che il benessere è dato solo dalla meta, ma anche dal viaggio stesso. L’obiettivo teniamolo lì, però godiamoci anche il percorso per raggiungerlo che ci può proporre deviazioni interessanti e panorami prossimi anche migliori del previsto.
Al futuro come dobbiamo rivolgerci?
I progetti sono il nostro modo per cercare di plasmare il tempo a venire come vorremmo, solo che è un’illusione. Ci sono fattori di contesto, leggi pandemia, imprevisti, gli altri che possono essere più forti di noi e fanno saltare i nostri schemi. Siamo realisti, consapevoli che gli ostacoli possono esserci e, perciò, teniamoci pronti ad adattarci alle circostanze e modificare i nostri “canovacci”. Nell’ordinare l’agire futuro, la resilienza è fondamentale: permette, nonostante la botta, di ricostituire un altro proponimento avendo imparato dal precedente. È il nostro progetto che è fallito, non noi.
Gli altri ingredienti quali sono?
Essere bravi a cogliere e ascoltare attivamente i feedback che ci arrivano dall’esterno. Tutte informazioni che ci dicono che i nostri prospetti sono più o meno giusti e che ci permettono di riadattarli alle circostanze. Lo scambio d’opinioni, infatti, mette in moto un circolo virtuoso di nuovi e utili riscontri. È da considerare, e non da evitare l’errore: lascia il segno e, secondo diverse ricerche, attiva meccanismi di conoscenza più marcati.
E il fattore tempo, come va vissuto?
Il tempo è un elemento regolatore che può essere anche amico: se noi perdiamo di vista le scadenze temporali, i calendari biologici, le regolazioni sociali rischiamo di smarrire le occasioni. Ma per non farci stressare dal tic toc delle ore non diamo spazio solo alle cose urgenti da fare, lasciamoci blocchi di tempo per le cose solo importanti: così si anticipano i problemi, si abbassa l’ansia e si sente meno la pressione delle scadenze.
L’organizzazione va d’accordo con il disordine?
Per sapersi organizzare non bisogna avere obiettivi sempre chiari, piani specifici e rigorosi. Non è un fatto di metodo, ma più di autenticità e apertura mentale. Non siamo orologi, e la mente si nutre di flessibilità e varietà di situazioni. I grandi risultati, spesso, saltano fuori quando si è liberi di testa e pronti a cogliere le opportunità più sorprendenti.
Sempre condividere
«Buona parte delle nostre attività riferite al futuro sono pensate con altri: in famiglia, dentro il team di lavoro, il gruppo amicale», spiega il professor Fraccaroli. «Non si può non tenerne conto, per le informazioni che ci danno, come supporto emotivo e sostegno pratico (o scoraggiamento). Non solo: per imparare e guardare lontano bisogna saltare sulle spalle di qualcuno, diceva Umberto Eco. Nel senso che noi progettiamo il nostro domani, ispirandoci a modelli di riferimento. A qualcuno a cui assomigliare o da prendere come esempio. Ecco, bisogna scegliere su quali spalle saltare e poi aggiungerci qualcosa di nostro».
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