Una Lega per tutte le stagioni

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Con la velocità e la disinvoltura di un virus mutante, che oggi fa tendenza anche nella politica italiana mai emancipata dalle tradizioni trasformistiche, la Lega di Matteo Salvini, ma ieri di Umberto Bossi e di Bobo Maroni e domani chissà, si appresta di nuovo a cambiare abito, interlocutori, collocazione, forse alleanze, di sicuro obiettivi. Fondata alla fine degli anni ottanta dalla fusione di movimenti regionalisti preesistenti, è il più vecchio tra i partiti presenti in parlamento, ma per durare così a lungo ha dovuto cambiare spesso pelle e carta d’identità; e quindi l’originaria dizione “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” è via via diventata” Lega Nord Italia Federale”, “Lega Federale” e successivamente, in omaggio alla personalizzazione della politica, prima “Noi con Salvini”, poi più esplicitamente  “Lega per Salvini Premier” (fondata del 2018 e subito costretta a rinviare sine die il raggiungimento della ragione sociale). Come si conviene, ad ogni evoluzione semantica ha corrisposto un cambio di linea se non addirittura di ideologia: e quindi la Lega nelle sue diverse versioni è stata federalista, separatista, indipendentista, scissionista, antimeridionalista (anche un po’ razzista), meridionalista, nazionale, un tempo euroscettica poi europeista (ma per l’Europa delle Regioni modello De Gaulle), giustizialista e garantista, e infine sovranista. E ancora: la Lega è stata di sinistra, tanto da essere corteggiata perfino da Massino D’Alema, poi di destra, antifascista con Bossi, alleata degli ex-neo-post fascisti con Salvini, liberista ma anche statalista, e comunque sempre central-regionalista nel senso che la Regione è mia e ne faccio quel che voglio, vedi Attilio Fontana.

Insomma, un caleidoscopio, o se vogliamo un minestrone in cui prevale sempre il sapore della verdura di stagione, che non è mai lo stesso. Tanta fantasia istituzionale e larghezza di vedute ha consentito al partito nelle sue diverse versioni di calcare sempre la scena con ruoli da protagonista: al governo con Berlusconi e Fini, poi con i Cinque Stelle, ora con la destra; ma si faceva sentire anche dall’opposizione, facendo da megafono alle istanze del profondo Nord. Sempre ben insediata nel Settentrione (prevalentemente nelle aree periferiche) e nel parlamento, oggi con oltre 200 seggi fra Camera, Senato, Strasburgo. Allo stesso modo, a molti amministratori locali leghisti va dato atto di una indubbia capacità di governo; mentre altrettanto non si può dire dei ministri e sottosegretari, che raramente hanno lasciato traccia del loro passaggio. E qui sta il punto dolente della situazione che dà vita all’estrema reincarnazione della Lega oltre la Lega: per governare, il bruco si deve trasformare in farfalla, altrimenti prima o poi qualcuno di passaggio lo schiaccerà. Il sogno governista di Salvini, passato da “Roma ladrona” a “Europa padrona”, imperniato sulla paranoia securitaria e sulla visione piccolo borghese del “prima gli italiani”, ha portato gli ex padani fin dentro palazzo Chigi anche se non nell’ufficio più prestigioso; ma la strategia ha rivelato il suo limite. La devastazione economico-sociale prodotta dall’epidemia di Coronavirus sta dimostrando che l’Europa non è il Grande Fratello da esorcizzare punire, ma una risorsa da cui attingere energie vitali per superare la crisi. Marcello Pera, ex presidente del Senato che a suo tempo tentò invano di convincere Berlusconi a farsi liberale, ora guarda al nuovo corso della Lega con pragmatismo post ideologico, e fa semplicemente notare a Salvini che “non puoi governare l’Italia se non fai parte delle forze di governo in Europa”. Prima degli altri, un anno fa l’avevano capito i Cinque Stelle (tranne Di Battista), che votando a favore della Commissione Von der Leyen a Bruxelles sono sopravvissuti al declino di consensi in Italia e hanno spedito Di Maio alla Farnesina; ora ci sta arrivando anche il Capitano, preso per mano dal fido Giorgetti che si era prudentemente messo da parte nella stagione della crociata contro i migranti. C’è però un ostacolo sul cammino revisionista dei padani pentiti: per essere ben accetti in Europa non basta baciare le pantofole giuste, bisogna anche rispettare una certa etichetta; il che contrasta con la linea di maggior continuità rinvenibile nelle varie stagioni della Lega, che coniuga un certo familismo dinastico con l’uso per così dire disinvolto del denaro pubblico. Peccati “veniali” in Italia, ma mal tollerati dai guardiani della calvinista Europa che ora manovrano i cordoni della borsa. La strada sarà lunga.

di Guido Bossa



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