Unisa consegna i riconoscimenti intitolati alla memoria di Antonella Russo – Corriere dell’Irpinia

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A ricordare con commozione la passione per lo studio di Antonella Russo la professoressa Micaela Cordisco che l’aveva avuta come studentessa “Aveva fatto da pochi giorni il suo ultimo esame con me ed aveva la tesi di laurea pronta per essere discussa di lì a qualche settimana con Teresa Amodio. Non dimenticherò mai il suo volto felice quando si alzò dalla sedia dopo che le avevo messo il voto sul libretto. 26, un voto di cui era fiera perché era un esame particolarmente “complicato”. Era finalmente libera dagli esami e pronta per affrontare con entusiasmo il suo futuro, per dare forma ai suoi sogni, ed i suoi occhi ed il suo sorriso non mentivano. Dopo qualche giorno, però, un uomo brutale e violento, il compagno di sua madre, decise che Antonella non aveva più il diritto di vivere, perché aveva osato denunciarlo per i maltrattamenti alla madre. E un uomo violento, denunciato per la sua violenza contro una donna, cosa fa? Diventa ancora più violento, contro un’altra donna, una ragazza giovane ma con una dignità, una forza e un coraggio che lui manco se li sognava… Quel bruto ha fatto la cosa più vile: il 20 febbraio 2007 aspettò che Antonella lasciasse sua madre davanti alla conceria dove lavorava e dove la figlia la accompagnava per proteggerla da quell’uomo violento, si avvicinò alla sua auto e le sparò 6 colpi di pistola alla testa. Sentii la notizia alla radio, in auto, mentre andavo a Fisciano. Non si sapeva ancora il nome della “studentessa universitaria uccisa per mano di un uomo violento nell’avellinese”, ma io cominciai a sentire un dolore nello stomaco. Arrivai nel Campus e il primo a capire che fosse lei fu Francesco Colace, mi mandò la foto della sua carta di identità, ed io e Anne Marie O’farrell ci sentimmo al telefono e cominciammo a piangere disperate. Poi fu la volta di una disperata condivisione con Linda Barone. Non potevamo crederci e, dopo essere state costrette a farlo, non potevamo accettarlo. E continuiamo a non accettarlo.

Nel frattempo sono passati  anni, le abbiamo intestato un laboratorio, le abbiamo dato una laurea in memoria, parlo di lei quando posso ai miei studenti, perché è giusto ricordare ma è giusto anche raccontare, per diffondere il senso di ingiustizia, il senso della precarietà della nostra condizione, l’insensatezza della violenza, il bisogno di rispettare, rispettare tutti ma soprattutto le donne. Perché quell’idea malsana di possesso e di vendetta che si annida nei meandri più sporchi dell’essere umano deve essere portata alla luce per essere sradicata.

Ci sono cose che nella vita si mettono in conto ma altre, come questa, no. Io non l’avevo messa in conto. Sarà per questo che continuo a piangere ogni volta che parlo di lei. Penso sempre ai sogni spezzati della ragazza dagli occhi color cielo e dal sorriso che tendeva all’infinito”



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