“Rigettate il nero e questa mescolanza di bianco e nero che si chiama grigio. Niente è nero, niente è grigio”, diceva il pittore francese Paul Gauguin. Il suo invito a boicottare il nero sembra calzare a pennello allo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Chemosphere: i ricercatori, guidati da Megan Liu dell’organizzazione no-profit americana Toxic-Free Future, hanno analizzato oltre 200 oggetti domestici in plastica scura, come mestoli, spatole e contenitori per alimenti, rilevando che l’85% dei prodotti conteneva ritardanti di fiamma bromurati, tossici per la salute.
Ma di cosa si tratta?
Cosa sono i ritardanti di fiamma
I ritardanti di fiamma bromurati sono composti chimici che vengono aggiunti dall’industria in un’ampia gamma di prodotti (plastiche, tessuti, mobili, tappezzeria, apparecchiature elettriche ed elettroniche) per evitare che questi oggetti possano incendiarsi oppure per rallentare il propagarsi delle fiamme.
«Da qualche anno, queste sostanze sono finite nel mirino delle autorità in materia di sicurezza e salute, perché si è osservato che possono nuocere alla salute», commenta il professor Agostino Macrì, esperto di sicurezza alimentare dell’Unione nazionale consumatori e docente di Ispezione degli alimenti all’Università Campus Biomedico di Roma.
«Non si tratta di effetti avversi acuti, come nel caso delle tossinfezioni alimentari, ma di effetti a lungo termine, dovuti al loro accumulo progressivo nell’organismo».
Quali sono i pericoli
Numerosi studi condotti su modelli animali, su colture cellulari e sulla popolazione hanno evidenziato che l’esposizione prolungata a ritardanti di fiamma bromurati può alterare l’equilibrio ormonale, avere effetti dannosi sul fegato, compromettere la fertilità (soprattutto negli uomini) e disturbare il corretto sviluppo neurologico dei bambini, superando la barriera rappresentata dalla placenta e raggiungendo il feto oppure trasferendosi da madre a figlio durante l’allattamento.
Inoltre, già nel 2015, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) aveva classificato alcune di queste sostanze come potenzialmente cancerogene. C’è addirittura uno studio pubblicato quest’anno su JAMA Network Open che sostiene che le persone con i livelli più elevati di ritardanti di fiamma nel sangue abbiano una probabilità di contrarre il cancro superiore del 300% rispetto a chi presenta livelli più bassi.
«Per tutti questi motivi, l’utilizzo di molti ritardanti di fiamma, in particolare quelli bromurati, è stato vietato o limitato, a partire dai prodotti di uso domestico che possono entrare in contatto con il cibo», evidenzia il professor Macrì.
Perché troviamo i ritardanti di fiamma negli utensili
Il problema nasce perché i ritardanti di fiamma continuano a essere utilizzati in molti dispositivi elettronici, come computer fissi e portatili, smartphone, televisori ed elettrodomestici.
«Così, se questi prodotti vengono riciclati insieme ad altre plastiche prive dei contaminanti, le sostanze chimiche tossiche possono finire nei nuovi prodotti, anche se la loro presenza è tassativamente proibita», riferisce l’esperto.
La più interessata è la plastica nera, perché spesso proviene da componenti elettronici riciclati, visto che il colore scuro facilita la miscelazione di plastiche diverse senza evidenti differenze di colore. «A quel punto, durante la cottura degli alimenti o il contatto con una fonte di calore, può essere facilitata la cessione dei ritardanti di fiamma, che finiscono poi nel cibo e vengono assorbiti dal corpo», ammette il professor Macrì.
Massima attenzione sì, allarmismo no
Se lo studio americano mette una pulce nell’orecchio, va detto che le quantità di particelle tossiche potenzialmente “migranti” nel cibo dovrebbero essere molto contenute.
«Detto ciò, per precauzione, possiamo evitare gli utensili da cucina in plastica nera e scegliere quelli prodotti in materiali alternativi, come l’acciaio inossidabile oppure il legno, che non presentano il problema della contaminazione con ritardanti di fiamma, non conferiscono alcun sapore aggiuntivo al cibo e non rilasciano sostanze chimiche pericolose», suggerisce il professor Macrì, che da poco ha creato un canale YouTube per chiarire i principali dubbi legati alla sicurezza alimentare.
«Nel frattempo, facciamo appello alle autorità scientifiche europee, affinché si esprimano sul tema con dati più precisi ed eventualmente impongano controlli più stringenti da parte dei produttori e del sistema di riciclaggio, che al momento non separa adeguatamente le plastiche trattate con sostanze vietate».
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