Vertigini e acufeni? Cos’è la Malattia di Ménière: sintomi, diagnosi e terapia

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La stanza sembra girare vorticosamente, l’udito cala all’improvviso con sensazione di orecchio pieno e ovattato. È ciò che prova chi soffre della sindrome di Ménière, disturbo invalidante che colpisce soprattutto le donne

Svegliarsi al mattino e sentirsi come il perno di una trottola, con la stanza e l’ambiente intorno a te che iniziano a girare vorticosamente. Sono le terribili sensazioni provate da chi soffre della malattia di Ménière, un disturbo altamente invalidante di origine ancora incerta, visto che ci si muove ancora nel campo delle ipotesi. Colpisce soprattutto le donne di età compresa tra i 40 e i 60 anni, con una frequenza delle crisi vertiginose (che durano da 20 minuti fino a 24 ore o più) molto variabile da caso a caso: da una-due volte all’anno a due-tre volte alla settimana, assumendo quindi una cadenza che impedisce lo svolgimento delle normali attività quotidiane.

Come sbarazzarsi della sindrome di Ménière? Ecco qualche spunto di riflessione per cercare di tenere sotto controllo gli episodi di vertigini.

Malattia di Ménière, quali sono i sintomi

Vertigini ricorrenti associate a ipoacusia (improvviso calo dell’udito), acufeni (fischi e ronzii) e sensazione di orecchio pieno e ovattato. Sono questi i principali sintomi prodotti dalla malattia di Ménière, ai quali se ne associano in genere altri.

«Comportando una perdita dell’equilibrio, i capogiri sono spesso accompagnati da nausea, vomito, sudorazione, crampi allo stomaco e profondo senso di malessere, data l’incapacità di camminare e di orientarsi nello spazio che getta chi ne soffre in un’angoscia paralizzante», spiega il professor Domenico Cuda, direttore dell’unità ORL dell’ospedale di Piacenza e past-president della Società Italiana di Otorinolaringoiatria. «In genere i sintomi a carico dell’orecchio, compresa l’ipoacusia fluttuante, sono monolaterali ma possono anche colpire bilateralmente. E allora il quadro clinico si complica».

Quali le cause della sindrome di Ménière? Soltanto ipotesi

Quali le cause? «Si pensa che un ventaglio così variegato di sintomi sia dovuto a un aumento della quantità di endolinfa (scientificamente definito “idrope endolinfatica”), cioè di quel liquido che si trova nelle membrane della coclea e del labirinto, le due strutture dell’orecchio interno che non solo ci consentono di sentire ma regolano anche il nostro senso dell’equilibrio», spiega il professor Cuda.

Che cosa provoca quest’accumulo di liquido? Le ipotesi spaziano dalle malattie autoimmuni alla predisposizione genetica fino agli squilibri ormonali che portano a una forte ritenzione idrica.

Come avviene la diagnosi della malattia di Ménière

In questo caso è molto importante eseguire un’accurata anamnesi, chiedendo al paziente di riferire a quando risale la comparsa dei sintomi, in quali circostanze si manifestano o si acuiscono e se vi sono precedenti casi in famiglia. La visita dall’otorino va sempre completata da un esame audiometrico, per capire l’entità del calo uditivo e se è monolaterale o bilaterale.

«Spetta allo specialista, inoltre, verificare che non si tratti di un episodio di vertigine posizionale, dovuta allo spostamento degli otoliti presenti nell’orecchio interno che sono responsabili del senso dell’equilibrio», precisa il professor Domenico Cuda. «Nel qual caso è possibile farli rientrare nella loro sede, attraverso una serie di manovre meccaniche, come i movimenti di rotazione della testa. Sempre nell’ottica della diagnosi differenziale, in alcuni casi l’otorino prescrive una Risonanza Magnetica dell’encefalo, per escludere tumori del cervello  o del nervo acustico».

Le terapie: dai farmaci all’intervento

Nella fase acuta della crisi, c’è poco da fare. L’ideale è aspettare che passi stando a riposo con gli occhi chiusi e prendendo dei farmaci antiemetici (contro il vomito), insieme a supposte o iniezioni di antivertiginosi, come le fenotiazine.

«Per diradare il rischio di ricadute, l’otorino prescrive la betaistina, un farmaco in gocce o compresse che va preso due volte al giorno, 24 mg al mattino e 24 mg alla sera, per diverse settimane», aggiunge Cuda. «La terapia va associata a diuretici e dieta iposodica per evitare l’eccesso di endolinfa all’interno dell’orecchio. Se la situazione non migliora, si può ricorrere alle iniezioni endotimpaniche di corticosteroidi, che svolgono una potente azione antinfiammatoria, o di alcuni antibiotici come la gentamicina, ma solo nei casi in cui l’udito sia già irreversibilmente compromesso. La gentamicina, infatti, è vestibolo-tossica e viene usata proprio per ledere, a ragion veduta, i recettori nervosi dell’orecchio interno. Nei casi più invalidanti, si può optare per la soluzione radicali dell’intervento chirurgico: neurectomia vestibolare (sezione del nervo vestibolare che contribuisce al senso dell’equilibrio) o labirintectomia, cioè la chirurgia ablativa del labirinto. La sua asportazione non comporta una perdita permanente dell’equilibrio perché la sua assenza viene compensata dall’altro orecchio».

E se fosse colpa dei denti?

È ormai risaputo che la malattia di Ménière non è solo una patologia di stretta competenza dell’otorinolaringoiatra. Molto spesso la colpa è di una malocclusione dentale, che porta a disordini dell’articolazione temporo-madibolare, con ripercussioni sull’orecchio medio e interno.

«Nella mia esperienza clinica, con oltre duecento casi trattati, riscontro spesso la “dislocazione” della mandibola e il conseguente conflitto che si viene a creare tra il condilo mandibolare e le delicate strutture interne all’orecchio, deputate all’udito e all’equilibrio», premette il dottor Edoardo Bernkopf, specialista in odontostomatologia a Vicenza, Roma e Parma, che ha recentemente pubblicato uno studio sul tema sulla rivista European Archives of Otorhinolaryngology.

«Le situazioni più frequenti di questo disallineamento sono: la mandibola retrognata, cioè spostata all’indietro, e latero-deviata, cioè spostata lateralmente. È molto importante rilevare la presenza di altri sintomi che la malocclusione può provicare quali cefalea (spesso erroneamente diagnosticata come emicrania), cervicalgia, russamento notturno e la presenza di altri casi in famiglia che fanno pensare a una predisposizione genetica. Eseguo, quindi, un accurato “studio del caso” analizzando i rapporti tra i denti e tra le due arcate dentarie, che spesso non combaciano perfettamente generando tensioni e sovraccarico articolare».

Sulla base delle impronte, viene preparato e fatto indossare per quattro mesi un bite in resina provvisorio, mirato a correggere i rapporti alterati. Se in questo “periodo di prova” le vertigini e gli altri sintomi correlati scompaiono, significa che il problema può essere risolto con un apparecchio ortodontico fatto ad arte, da mettere per un periodo di tempo variabile da uno a tre anni al fine di stabilizzare i risultati ottenuti. Lo scopo è riallineare i denti e il modo in cui “chiudono”, per armonizzare le due arcate e ricreare l’esatta posizione mandibolare individuata dal bite. In alternativa all’apparecchio il paziente può più semplicemente decidere di continuare a portare il bite.

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