Ves, emoglobina, glicemia, colesterolo, pressione, Moc: i valori ok

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Qual è il tuo “sistema di valori”? Non quelli etici o morali, ma stampati nero su bianco sugli esami del sangue. Numeri e sigle dal significato spesso oscuro, che servono a testare il tuo stato di salute generale. Come interpretarli in modo corretto, se non hai il conforto di un medico chiaro e disponibile? Esistono dei parametri ideali che ci permettono di tirare un respiro di sollievo, quando è tutto posto, e di ricorrere a delle misure correttive se c’è qualche indice “sballato”?

Starbene ha consultato due esperti, che ci hanno fornito le chiavi di lettura per capire come stiamo in quanto a infiammazioni, emoglobina, glicemia, colesterolo, pressione e densità ossea.

Ecco una breve guida per capire quali sono i valori numerici ideali e come comportarsi quando i propri esami si discostano, poco o tanto, dai codici aurei della buona salute.

Superi questo valore? Il tuo corpo combatte un’infezione

Ves significa velocità di eritrosedimentazione e rivela il tempo impiegato da globuli bianchi, rossi e piastrine a depositarsi sul fondo di una provetta. Se dopo un’ora è pari a 15 mm (o poco meno), significa che è tutto a posto. Valori elevati indicano un processo di infiammazione in atto. «È un indice che si impenna alla minima infezione», spiega il dottor Carlo Gargiulo, medico di medicina generale a Roma. «Basta un raffreddore o una cistite perché il numerino salga mantenendosi alto per qualche giorno, anche quando i sintomi sono passati e si sono fatte le cure adeguate».

Il limite della Ves? È un indice incapace di svelare di che tipo di infiammazione si tratti. In generale, impennate brusche oltre i 50, che rientrano rapidamente, segnalano un’infezione acuta che si risolve con i farmaci. Al contrario, valori stabilmente alti (intorno ai 30), che non accennano a diminuire, possono segnalare la presenza di reumatismi articolari, epatiti o malattie autoimmuni.

Quando controllarla. Se gli esami sono a posto basta rimisurare la Ves una volta all’anno. Quando, invece, è alta e si hanno sintomi evidenti (come la febbre), occorre curare l’infezione in atto e ripeterla dopo un mese: con la guarigione il valore scende.

Attenta: se scende sotto i 12 sei a rischio anemia

L’emoglobina, la proteina contenuta nei globuli rossi del sangue, trasporta l’ossigeno nei tessuti. Se il valore si mantiene sopra 12 mg/dl, significa che tutto funziona al meglio. Viceversa, quando dagli esami del sangue risulta che il suo valore è sceso sotto 11, si accende la spia rossa dell’anemia. «È una condizione molto frequente nelle donne fertili, che non va sottovalutata», avverte il dottor Carlo Gargiulo. «I sintomi? Pallore del volto, occhiaie, stanchezza cronica e dispnea da sforzo, cioè il “fiato corto” al minimo esercizio fisico».

In questo caso occorre intervenire con un’integrazione di ferro, il costituente essenziale dell’emoglobina, assunto a stomaco pieno nella misura di una capsula al giorno da 525 mg di solfato ferroso, pari a 105 mg di ferro (dose che sale a due capsule se l’emoglobina è sotto 10). Inoltre, è bene integrare il ferro con 1 g al giorno di vitamina C, che ne migliora l’assorbimento, e un complesso di vitamine del gruppo B, che stimolano il midollo osseo a produrre più globuli rossi.

Quando controllarla. Se l’emoglobina è normale, basta ripetere gli esami del sangue una volta all’anno. Se invece è bassa, si ricorre a un’integrazione di ferro, ma occorre rivalutarla dopo tre mesi, per essere certi che la “cura” abbia funzionato.

Superi la cifra tonda? Sei “intollerante” agli zuccheri

Va misurata a digiuno, cioè a distanza di tre ore dall’ultimo pasto. E valutata insieme all’emoglobina glicata (il valore medio della glicemia negli ultimi tre mesi), che non dovrebbe superare il 5,7%. Non ti tornano i conti? Riferiscilo al tuo medico di base: potrebbe essere l’inizio di una situazione poco simpatica chiamata intolleranza glucidica.

«Avere una glicemia a digiuno compresa tra i 100 e i 125 (e un’emoglobina glicata tra i 5,7 e i 7) segnala una difficoltà del glucosio a entrare nelle cellule per essere utilizzato come energia», precisa Carlo Gargiulo. «Difficoltà che può dipendere da due cause: scarsa produzione di insulina, l’ormone secreto dal pancreas per metabolizzare gli zuccheri, o resistenza periferica alla stessa legata al fatto che, pur essendo prodotta in quantità sufficiente, non viene ben utilizzata».

Per combattere l’intolleranza glucidica, una condizione pre-diabetica, occorre seguire una dieta povera di zuccheri semplici (saccarosio, dolci, caramelle, alcolici), che privilegi i carboidrati integrali, ricchi di fibre, in grado di contrastare i picchi di glicemia.

Quando controllarla. Se la glicemia è giusta, basta verificarla due volte all’anno. Nel caso sia off-limits diventa necessario tenerla sotto controllo, ripetendo l’esame a un mese dalla terapia (dieta o farmaci che sia) e poi ogni tre mesi, per verificare che i valori siano tenuti costantemente bassi.

È il numero da non superare se vuoi salvare la circolazione

Il colesterolo è una molecola lipidica fondamentale per la costruzione di cellule, ormoni e tessuti. Il valore totale non dovrebbe superare i 200 mg/dl. Ma livelli tra i 200 e i 220 sono accettabili, se non si hanno altri fattori di rischio cardiovascolare come il diabete o le cardiopatie. In questi casi basta correggere la dieta riducendo i cibi ricchi che ne sono ricchi: latte intero, burro, insaccati (specie lardo, pancetta, coppa e salame), formaggi e crostacei.

«Se il livello di colesterolo totale supera i 220, è invece importante esaminare quello frazionato, diviso tra la sua componente buona (HDL), che funge da “spazzino” delle arterie, e quella “cattiva” (LDL), che favorisce le placche aterosclerotiche», spiega il dottor Roberto Meazza, cardiologo responsabile del Centro Ipertensione del Policlinico- Università di MIlano. «In base al rapporto tra HDL e LDL, il cardiologo prescriverà o meno dei farmaci ipocolesterolemizzanti, come le statine».

Quando controllarlo. Se il colesterolo è nella norma, basta ripetere gli esami del sangue due volte all’anno. In caso di ipercolesterolemia è consigliabile fare un check, tramite gli esami del sangue, ogni quattro mesi, per verificare se la terapia (dieta e farmaci) funziona o va migliorata.

  • 80/120 – Pressione arteriosa


I due valori indicano la minima e la massima ideali per il cuore

La pressione arteriosa si misura in diastolica (detta minima) e sistolica (la massima), e rappresenta la “forza” esercitata dal sangue sulle pareti delle arterie. «Valori un po’ più alti (come 90/140) sono accettabili, ma se superano di molto il range ideale è bene rivolgersi al medico, che chiederà di misurare la pressione tre volte alla settimana per due mesi, riportando i valori su un diario. Servirà a capire se si tratta di un rialzo transitorio, dovuto magari a stress, o di una ipertensione che necessita il consulto di uno specialista», spiega il cardiologo Roberto Meazza. «Quest’ultimo deciderà se prescrivere dei farmaci antipertensivi e una dieta povera di sodio».

Per la pressione bassa, invece, non esiste una soglia di attenzione: ci sono donne che con valori intorno a “60-90” stanno bene. Se però si hanno bruschi cali pressori (come quando si sta a lungo al sole o in piedi), si possono accusare capogiri e svenimenti. In questi casi è bene bere molto, consumare più cibi salati e ricorrere a integratori ricchi di potassio, sodio e magnesio. Nei momenti critici risulta utile bere tè o caffè.

Quando controllarla. Chi sta bene dovrebbe rilevare la pressione almeno 2 volte all’anno. Chi, invece, ha la tendenza a soffrire di ipertensione, dovrebbe misurarla 3 volte alla settimana. Si fanno 3 rilevazioni: la prima si scarta e si fa la media tra le altre 2.

-1 +1 – Moc 

Se l’indice scende le ossa diventano più fragili

La mineralometria ossea computerizzata (MOC) è l’esame che permette di diagnosticare l’osteoporosi e di seguirne l’evoluzione. «L’indice da guardare, una volta ritirato il referto, è il cosiddetto T-score. Se è compreso tra -1 e +1, la massa ossea è nella norma», spiega il dottor Carlo Gargiulo. «Un T-score fra -1 e -2,5 indica osteopenia, un’iniziale perdita di densità ossea. Al di sotto di -2,5 si parla di osteoporosi. Per prevenirla, occorre assicurarsi un buon apporto di calcio, con una dieta ricca di latticini, e praticare attività fisica: basta camminare di buon passo 30 minuti al giorno».

Quando subentra l’osteoporosi, si ricorre a farmaci in grado di rallentare la perdita ossea: bifosfonati, Serm, ranelato di stronzio, teriparatide e, nei casi severi, anticorpi monoclonali prescritti dallo specialista.

Quando eseguirla. Secondo l’OMS si dovrebbe fare la prima MOC quando si entra in menopausa. Per chi è a rischio di osteoporosi (per terapie cortisoniche prolungate, malattie come la celiachia o l’artrite reumatoide) anche prima.

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