L’architetto Luigi D’Oro vive e ha il proprio studio professionale a Benevento ma conosce bene la nostra provincia, in particolare quella zona di cerniera tra l’Irpinia e il Sannio, svolgendo il ruolo di facilitatore per conto del G.A.L. “Partenio” nell’ambito del Progetto “EMBRACE” promosso dall’Unione Europea per favorire l’introduzione nel sistema produttivo locale dei principi innovativi dell’economia circolare, che qui è stato sperimentato nell’areale di pregio del “Greco di Tufo”. Un Leone d’argento nel 2014 e un Leone d’oro nel 2016 alla Biennale Internazionale di Venezia per l’allestimento dei padiglioni nazionali del Cile e della Spagna. Si tratta di prestigiosi risultati ottenuti grazie al duro lavoro svolto in collaborazione con un brillante team di apprezzate professionalità sannite.
Architetto, Lei, insieme ad altri colleghi, designers, artisti e ricercatori opera attraverso l’associazione “Ru.De,Ri” – Rural Design per la Rigenerazione dei Territori, per promuovere pratiche e realizzare interventi finalizzati alla palingenesi dei contesti rurali che danno alle attività primarie dell’operare umano, a partire dalle pratiche agricole e artigianali, un ruolo centrale in tali processi. Cosa significa innestare un’esperienza così innovativa in un contesto complesso come il Mezzogiorno?
Noi ci ispiriamo ai principi del Rural Design con l’intento di ampliare il campo di azione classico della progettazione, basato sul paradigma urbano e fondato sulla celebre affermazione di Gropius “dal cucchiaio alla città”, per inglobare, invece, il concetto di paesaggio nelle sue diverse accezioni – tanto quella estetica che quella produttiva ed ecologica – come risultato della co-evoluzione di sistemi ambientali ed attività umane. Crediamo che questa visione necessiti di una nuova interpretazione del ruolo storico dell’agricoltura che deve fondarsi, da un lato, su una nuova percezione del territorio e, dall’altro, sull’integrazione sistemica delle filiere produttive agricole e artigianali dell’area mediterranea.
Il passaggio da questa dimensione progettuale all’esperienza svolta nell’ambito del Programma Interreg – “EMBRACE”, promosso dal GAL “Partenio” è stato, quindi, del tutto naturale. Di economia circolare per fortuna se ne parla in modo sempre più diffuso anche perché uno degli orizzonti di prospettiva dell’Unione Europea è proprio il cosiddetto “Green deal” il nuovo patto sociale di sviluppo in termini di salvaguardia ambientale. In cosa consiste questo nuovo paradigma e in cosa si sostanzia il suo ruolo in questa vera e propria start-up di marketing territoriale?
Il mio ruolo è quello di facilitatore nell’area di competenza del GAL “Partenio” nell’ambito del progetto “EMBRACE”, che abbiamo rivolto in particolare al settore vitivinicolo per l’importante preesistenza economica e produttiva nel luogo. Abbiamo realizzato un lavoro di informazione e divulgazione che ci ha condotto ad un progressivo processo di selezione fino all’individuazione di cinque aziende campione con le quali è stato utilizzato il modello “EcoCanvas”,strumento operativo che indirizza le imprese verso un nuovo ed innovativo modello di business attraverso l’ausilio di questionari, suddivisi in blocchi tematici, utili e necessari per far emergere potenzialità e criticità aziendali e creare una connessione territoriale. Per un maggiore apporto allo scopo, ho deciso di coinvolgere la start up “Agribiom SRL”, una società di ricerca innovativa nel settore agricolo ed esperta nell’economia circolare. L’intenzione è quella di favorire il graduale passaggio delle aziende dall’economia lineare a quella circolare, facendo passare il cambio di paradigma attraverso l’individuazione dei flussi e l’introduzione delle pratiche volte all’efficientamento energetico e alla simbiosi industriale.
L’area di pregio del “Greco di Tufo” diventa, quindi, un luogo di interessante sperimentazione. Il vero soggetto fulcro intorno al quale si muove il complesso di iniziative diventa il territorio, inteso non solo come complesso di ricchezze e potenzialità, ma anche come soggetto attraente e dinamico che mette in rete i diversi soggetti di filiera protagonisti. Siamo di fronte a qualcosa di interessante anche sul versante delle relazioni inter istituzionali che costituiscono l’altra importante via attraverso la quale si potrebbero superare limiti storici e culturali come il campanilismo o la diffidenza verso l’azione di associazionismo imprenditoriale.
Il design in un territorio rurale non si occupa di delineare elementi di estetica, ma di perseguire una idea-forza frutto della sintesi di diversi elementi di caratterizzazione che necessariamente devono agire ricercando un comune denominatore di intenti e di azione. Non è l’ampiezza o qualsiasi altro elemento quantitativo che candida un territorio a coniare una esperienza del genere, ma la capacità di esprimere la sua potenzialità per cui i soggetti da ricercare possono essere tanto interni quanto esterni. L’importante è saperli portare nel territorio, ottenere il loro prezioso contributo in termini di contenuti e di valore aggiunto. In questo senso è stata avviata una interessante collaborazione con l’Università Federico II di Napoli e l’Ateneo del Sannio. L’elemento attrattore delle tante specificità, quello del settore enologico, è stato scelto proprio perché rappresenta un forte elemento catalizzatore per la ricerca e la sperimentazione per cui è importante il complesso delle relazioni che si generano rispetto all’attività degli imprenditori della filiera. Lo stesso ragionamento si applica per quanto riguarda altri stakeholder come le istituzioni locali, la rete delle associazioni e il complesso delle organizzazioni di categoria, che nell’insieme costituiscono i punti cardini di quella che in gergo viene definita la quadrupla elica territoriale.
Di fronte alla dinamicità che si registra in questo settore oramai strategico, quale quello dell’economia circolare, si ha, però, l’impressione che al di là della stella polare indicata dalla Programmazione europea per il futuro settennato 2021/2027 nel nostro Paese non si ottenga un parallelo processo legislativo di merito che favorisca questa importante azione svolta in tante realtà territoriali. Probabilmente sarà un problema non solo culturale ma anche di preoccupazione di rompere vecchi equilibri che il sistema economico lineare, al di là dei suoi limiti oggettivi, comunque garantisce ancora in qualche modo. Lei cosa ne pensa in merito?
L’economia circolare sta entrando sempre più nella coscienza collettiva e nella consapevolezza degli operatori economici, dalla multinazionale alla piccola azienda, perché ci si è resi conto che effettivamente oramai siamo giunti a un punto di non ritorno rispetto alla criticità climatica globale e alla sempre più evidente insostenibilità dei costi in termini ambientali, ma anche aziendali, di un sistema produttivo fondato sullo scarto continuo e sulla perpetuazione del consumo esponenziale energetico. In Italia vi sono tante significative esperienze in questo senso e io amo spesso citarne due emblematiche: quella del Consorzio “CAVIRO” in Romagna e quella della Fattoria della Piana in provincia di Vibo Valentia. La prima ha dato vita a un coinvolgimento di migliaia di imprese realizzando una straordinaria rete sistemica produttiva declinata alla riconversione circolare, la seconda è una straordinaria esperienza di imprenditoria sociale del nostro Mezzogiorno che con coraggio e intelligenza ha messo in comunità un intero territorio, caratterizzato da relazioni e culture ataviche nel settore primario, producendo uno straordinario salto qualitativo in termini di innovazione ecologica e di organizzazione sociale del lavoro. La nostra iniziativa ha inteso essere da stimolo per i diversi soggetti operanti per favorire anche una spinta dal basso per indurre la Politica a sostenere questa iniziativa di democrazia territoriale anche con l’auspicabile riscontro in sede di adeguamento legislativo in materia. Anche perché, riporto solo un esempio significativo in tal senso, ancora oggi quando un’azienda mette a regime l’adozione di un sistema produttivo circolare, la materia prima seconda realizzata per la burocrazia della Pubblica Amministrazione è ancora considerata uno scarto in quanto non sono state ancora definite e riconosciute le nuove categorie merceologiche.
Per concludere questo interessante incontro chiedo a lei, che ha avuto anche importanti relazioni di lavoro professionale in questo campo, quale può essere il messaggio che si sente di lasciare a questo territorio perché si imbocchi una strada dello sviluppo sostenibile e in tale contesto?
Credo sia necessario uno sforzo di comprensione e immaginazione i cui effetti possono trascendere anche i limiti tradizionali del territorio. La rivalutazione del rurale come elemento centrale della cultura contemporanea – dalla produzione agricola agli spazi del tempo libero – significa togliere il discorso da una logica autoreferenziale ed inserirlo in una rete potenzialmente planetaria. In questa nuova configurazione aperta alle storie, alle memorie alle possibilità che arrivano dall’altrove ed emergono tra di noi, l’identità non può essere vissuta come qualcosa di già dato e realizzato, ma diventa invece un’apertura, una continua elaborazione verso il futuro. Si apre la necessità di una “costruzione dal basso” di progetti di nuovi paesaggi attraverso l’apporto e il dialogo di più soggetti: “All’idea di paesaggio come natura messa in forma dalla distanza di contemplazione, si sostituisce quella di paesaggio come progetto continuo: un’interazione e riverberazione tra dimensioni soggettive e oggettive in movimento. “L’innovazione”, come sostiene Luigi Bistagnino, “non risiede tanto nel continuo aggiornamento, tecnologico quanto piuttosto nella particolare angolazione da cui si osservano i problemi”.
*intervista realizzata da Ranieri Popoli